Tra partiti allegri e passione politica c’è di mezzo l’Italia democratica

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18 Settembre 2019

La notizia mi ha colpito in un momento di esuberanza personale. Niente di stravolgente la mia squadra del cuore lunedì sera aveva vinto fuoricasa. Una sofferenza ed una vittoria inaspettata. Giallorossi nel cuore ma qui Conte non c’entra. Mentre bevevo una birretta solitaria nel parco e mi godevo la folla depressa che defluiva dallo stadio la notifica sullo smartphone mi ha comunicato il divorzio di Renzi da PD. Matteo fa traballare il governo giallo-rosso.

Tutti in apprensione, meglio andare a letto e vedersi gli highlight della partita, fissare un momento storico nella mia mente che racconterò ai nipoti perché quest’altro per entrare nella storia deve fare ancora un po’ di strada.

Ho fatto un pezzo di strada nel PD. Un percorso iniziato con la nascita dei democratici e conclusosi con un po’ di amarezze e delusioni l’8 dicembre 2013: le uniche primarie a cui non ho partecipato, quelle della consacrazione di Renzi.

Vivere un partito dal di dentro è un’esperienza umana straordinaria ma costa fatica e tanta pazienza e alla fine – è triste dirlo – se non hai un tuo obiettivo personale chiaro sul perché ti impegni in politica meglio lasciar perdere. prima o poi quella fiamma si spegne. La passione per cui inizi alla fine ti consuma in battaglie che meriterebbero migliori fini.

Mi è capitato di raccontare episodi della mia militanza altrove a qualche giornalista e anche sotto pseudonimo quando i blog avevano un senso ma in estrema sintesi ho improntato la mia sincera partecipazione al progetto democratico per allargare la sua base valoriale.

C’erano gli ex Dc e gli ex PCI, e quelli come me si sforzavano di superare questa dicotomia e allargare la discussione su altri aspetti: l’ecologismo, il liberalismo. Ho bei ricordi dei tentativi congressuali di Ignazio Marino, del giovane Civati, della campagna referendaria contro il porcellum. Tutte azioni che la base storica democratica – cioè le due famiglie degli ex DC e PCI – accoglieva ma con distacco, con pochi margini di contaminazione. Tu eri considerato minoranza. Qualcuno dei miei amici, debbo dire anche con significative capacità, alla fine con entusiasmo ha visto nella rottamazione delle prime due Leopolde la via d’uscita ad una marginalità politica.

 

Oggi Renzi annuncia il nome del suo partito “Italia viva”, Marino dieci anni fa aveva come slogan “Vivi il PD, cambia l’Italia”. Si sa come è andata a finire tra i due ma la scopiazzatura dei copywriter di Matteo lascia perplessi. Manca il PD (come è giusto) e il verbo “cambiare” che la dice tutta sulla elevata pragmaticità e la scarsa programmaticità del progetto.

 

Dieci anni dopo siamo qui. Il PD è un partito con una vita interna praticamente azzerata ed una base essenzialmente di eletti e galoppini, l’Italia è cambiata in peggio.

 

Si dirà, si governa, sì. Ma con una classe politica, anche nei democratici, di seconde file (qualche eccezione c’è come sempre ma non cambia i termini di giudizio) per non compromettere troppo la vecchia classe dirigente democratica che ha voluto veramente questo governo innaturale per una semplice ragione. Dopo Prodi e Veltroni (il miglior sconfitto di sempre) si è convinta per le proprie incapacità che di più non si possa sperare, che si sarà sempre minoranza in questo paese. Con una rinuncia, al di là delle retoriche contiane, ad affrontare temi cruciali per il futuro del Paese.

 

Da questo punto di vista il progetto di Renzi è più chiaro. Insegue la chimera del voto moderato deluso dai toni accesi della Lega e in libera uscita da Forza Italia. Si crede più bravo di Toti perché può dimostrare di aver governato e lavorato con i moderati del Cavaliere, facendo cose mediocri, vittime del compromesso a ribasso della legislatura precedente, ma che oggi, paragonate alle castronerie giallo verdi rifulgono di nuovo splendore. Renzi è bravo – ha appena risolto una crisi di sistema con una veronica attorno al suo omonimo Matteo –  mette parole chiavi come futuro e allegria, convoca i suoi boyscout, parla ai ceti produttivi anche perché ha bisogno di fondi per la sua startup. Si tiene la golden share del governo e annichilisce le velleità di Calenda e altri.

 

Un genio. Alle prossime elezioni votatelo, anche turandovi il naso, perché l’alternativa è l’altro Matteo. Al netto di cosa voglia veramente fare dell’Italia è un cavallo di razza. Egocentrico, pieno di sé ma di razza.

 

E allora il PD ? Zingaretti è chiuso in una cristalleria. Deve governare. Ha ancora i fili di una classe dirigente che non è stata mai rottamata e che l’ha sostenuto, ha un partito da ricostruire cercando di apparire meno obsoleto rispetto ai suoi competitor vecchi  e nuovi ma tenendo in piedi i valori di una democrazia interna che dialoga coi corpi intermedi della società, quelli che ancora oggi sono in grado di offrire una classe dirigente leggermente più dignitosa di quella politica.

Troppi però si stanno rilassando all’idea di ricostruire il partito del lavoro, dei pubblici dipendenti, degli insegnati. Dicono, finalmente Matteo se ne va. A loro pare sufficiente parlare con la Cgil per recuperare i voti persi nel 2018.

Pensano che sia sufficiente questo mentre il mondo sta collassando, c’è una crisi di tenuta dei sistemi democratici e di rappresentanza: ormai ad ogni latitudine c’è un balordo senza arte né parte che governa o vuole governare.

Mi chiedo se un giovane del Friday for Future tra tre anni voterebbe un progetto simile, se un liberal democratico, uno che crede nella libertà di realizzarsi secondo le proprie capacità, un lavoratore autonomo “per necessità” ma senza tutele, possa ritrovarsi in una proposta politica democratica.

Allo stato attuale ho i miei dubbi ma la fortuna del partito democratico è aver dietro di sè anni archivi di proposte politiche e di figure troppo presto rottamate che possono contribuire ad un profondo cambiamento programmatico. Va bene guardare alle nuove generazioni, alle buone capacità di governo locale ma, per quanto ho potuto vedere con questi occhi da elettore e militante, al posto del segretario Zingaretti, chiederei scusa ad un po’ di persone. Le prime due sono Ignazio Marino e Pippo Civati. Sono figure che hanno dato tanto e ottenuto poco rispetto alle loro potenzialità ma soprattutto hanno la capacità di interpretare i nuovi contenuti programmatici accennati sopra che ora hanno la dignità di divenire centrali in una proposta politica aperta a tutte le forze del paese. Riconciliarsi, riunirsi contro la demograzia dei clic, le derive autoritarie e gli egocentrismi mal nascosti.

TAG: Carlo Calenda, Ignazio Marino, Matteo Renzi, Nicola Zingaretti, Partito Demobratico, pippo civati
CAT: Partiti e politici

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