Salvini alla campagna di Ferragosto, sulle macerie di avversari ed ex alleati

8 Agosto 2019

Per tornare alle urne prestissimo – o almeno per provarci – Matteo Salvini sceglie un pretesto oggettivamente fragile. Come capita a chi, nella vita e in politica, si sente molto forte, tanto da intestarsi di fatto le ragioni di una rottura, o troppo vulnerabile: o entrambe le cose.

Perché obiettivamente, un’innocua mozione sulla Tav, per di più vinta a mani basse, che è servita solo a quel che resta dei 5 Stelle per dire che loro sono coerenti, ma è del tutto incapace di produrre effetti contrari a quelli voluti dalla Lega e già promesso solennemente da Conte, è proprio poca cosa per scatenare una tempesta d’agosto, violentissima, improvvisa e dagli effetti peraltro imprevedibili.

Eppure tant’è. Dopo giorni di rincorse e affanni, in cui molti tra noi – anche chi scrive – credevamo che avremmo assistito all’ennesima pace fittizia per chiudere una scaramuccia come le altre, è invece arrivato lo strappo di Salvini. Niente rimpasto, “le poltrone non ci interessano”, ed una nota che ha il sapore della definitività, almeno dal punto di vista della Lega. Eccola:

“Inutile andare avanti a colpi di NO e di litigi, come nelle ultime settimane, gli Italiani hanno bisogno di certezze e di un governo che faccia, non di “Signor No”.  Non vogliamo poltrone o ministri in più, non vogliamo rimpasti o governi tecnici: dopo questo governo (che ha fatto tante cose buone) ci sono solo le elezioni. L’ho ribadito oggi al Presidente Conte: andiamo subito in Parlamento per prendere atto che non c’è più una maggioranza, come evidente dal voto sulla Tav e dai ripetuti insulti a me e alla Lega da parte degli “alleati”, e restituiamo velocemente la parola agli elettori. Le vacanze non possono essere una scusa per perdere tempo e i parlamentari (a meno che non vogliano a tutti i costi salvare la poltrona) possono tornare a lavorare la settimana prossima, come fanno milioni di Italiani”. E adesso? Intanto, con questo strappo, alcune cose di sicuro non succederanno, o succederanno diversamente. Vediamone alcune, considerando che in parlamento, da domani, i due contraenti-alleati di ieri sono avversari. I principali avversari l’uno dell’altro.

Il 9 settembre, per cominciare, non c’è più la maggioranza per votare la riforma costituzionale che avrebbe diminuito drasticamente il numero dei parlamentari, quella per la quale – senza timore del ridicolo – appena ieri, Luigi Di Maio spiegava che molti politicanti di professione avrebbero dovuto finalmente trovarsi un lavoro. Non servirà quindi ridisegnare la legge elettorale sulla base di nuovi collegi. Non servirà – se gli aventi diritto l’avessero mai richiesto – passare per un eventuale referendum costituzionale confermativo. Cosa complicata, faticosa, lunga, rischiosa. Nel caso di dubbi, citofonare Matteo Renzi. Altro tema scottantissimo, e meno filosofico, è la prossima manovra economica. Ci sono scadenze intermedie a fine settembre e a ottobre, ma va approntatta presentata e approvata entro fine anno. Se si vota a ottobre c’è il tempo, anche immaginando un certo trionfo della Lega? E poi, può chi ha le chiavi della custodia costituzionale del paese avviare un percorso al buio, col rischio – teorico finché volete, ma altissimo, qualora diventasse realtà – che un governo non si formi in tempo, e il paese si avvii naturalmente al cosiddetto “esercizio provvisorio”, espostissimo ai mercati e all’aumento automatico dell’iva per oltre 20 miliardi?

Già, tutti guai che si accumulano sul tavolo di Sergio Mattarella. Guai non da poco. La repubblica italiana resta una repubblica parlamentare. Per quanto spesso vituperato, e non senza colpe di molti suoi membri, il parlamento resta padrone del suo destino, nel senso che è un dovere istituzionale verificare la possibilità che esso esprima – in qualunque forma, in qualunque modo – una maggioranza alternativa a quella che ha retto il governo di Giuseppe Conte sinora. L’esplorazione potrebbe finire subito, oppure aprire esiti inimmaginabili al momento. Anche – siamo ancora nel campo delle ipotesi improbabili, cose che possono sempre succedere – facendo nascere un nuovo governo politico, tecnico, misto. Che si avvii con l’orizzonte breve di chi deve fare una manovra finanziaria ma poi chissà: a Firenze cantavano, agli albori della nostra storia patria, che “del doman non v’è certezza”.

Tutto questo naturalmente Matteo Salvini lo sa. Non fa altro che politica da 25 anni, ed il professionismo insegna prudenza. Sembrerà strano, detto stasera, ma ha atteso anche troppo, secondo una parte importante dei suoi colonnelli, dei governatori che governano le più ricche regioni italiane e volevano l’autonomia per il Nord, alla faccia di quei “terroncelli del movimento 5 stelle”. Ha atteso troppo anche guardando i sondaggi, confermati alle Europee, che lo danno per padrone del paese e, senza troppa difficoltà, della maggioranza parlamentare futura e quindi di Palazzo Chigi.

Le pressioni si sono fatte troppo alte, probabilmente, e gli spettri del passato (vedi quell’altro Matteo, Renzi, che non ottenne il voto dopo le europee trionfali del 2014 e fece poi la fine che sappiamo) troppo ingombranti. Salvini forse condivide, o forse no, questa valutazione probabilistica: nell’80% dei casi si va davvero a votare in autunno e in quel caso con ogni probabilità sarà Palazzo Chigi a breve. Poi ci saranno un sacco di grane da sbrigare: manovra, Europa, Autonomia da fare davvero: e la scusa degli alleati che dicono sempre non non c’è più. Ma almeno se la giocherà tutta in prima persona, facendo subito la cosa che gli piace davvero della politica: cioè, la campagna elettorale. E poi entrando da probabile dominus del prossimo parlamento, quello che all’inizio del 2022 dovrà eleggere il futuro presidente della Repubblica.

Poi c’è l’altra ipotesi, minoritaria: ovvero che per qualunque ragione non si voti, e nasca “qualcosa” con la Lega all’opposizione. A Salvini l’opzione non deve sembrare così traumatica: questo governo infatti sarebbe sostenuto, oggettivamente, da quell’accozzaglia che va dagli amici di Di Battista al “partito di Bibbiano” (sempre di Maio, sempre lui) e finirebbe per fare la figura di chi vuole la poltrona a tutti i costi, e per fare cose fastidiose per il popolo, ancora una volta. I governi tecnici, per dirla in sintesi, non hanno mai portato troppa fortuna elettorale si politici che li hanno sostenuti.

Sullo scenario incidono fattori minori, che vanno naturalmente considerati in prospettiva: Forza Italia non esiste più, come è morto, politicamente parlando, quel campione blasonato e finito di Silvio Berlusconi. Quel che nascerà dalle sue ceneri o si condannerà all’irrilevanza del liberalismo già tradito, o proverà a essere utile idiota di Salvini. Il Pd in parlamento è rappresentato da un blocco ancora rilevante di parlamentari fedeli a Renzi, che continuano a dire #senzadime e tra un po’ si farà davvero senza di loro, mentre a governarlo è la scialba leadership di Nicola Zingaretti, che come massima ambizione elettorale potrebbe avere quella di far eleggere i suoi, al posto di quelli di “Matteo”. Questo per dire, insomma, che probabilmente Salvini ha davvero aspettato che tutto fosse maturo per giocare il tutto per tutto di Ferragosto: si sente così forte, da aver giocato su un pretesto banale, convinto di portare a casa la storia.

Se ha avuto ragione lo diranno la storia e la cronaca. Di certo, non possiamo guardare i mesi che vengono, sgranocchiando serenamente pop corn.

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CAT: Partiti e politici

Un commento

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  1. evoque 5 anni fa

    Salvini dice che i parlamentari possono tornare in parlamento la settimana prossima e lavorare come fanno gli italiani. Certo come al contrario lui non fa da ben 25 anni, sempre a scrocco in politica, e a carico dei cittadini (non quelli della flat-tax, però). Comunque tutti questi “trionfi” di Salvini ricordano tanto quelli del Berlusca, frasi reboanti e gradasse comprese. Poi sappiamo come sia finito Berlusconi. Salvini lo seguirà. Non ci sono dubbi. I dubbi se mai sono sul tempo che manca alla sua fine e sul numero di disastri che nel frattempo avrà combinato.

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