“Il leader sceglie persone migliori di lui”: la drammatica confessione di Renzi
Non sappiamo se stamane, alla conferenza di fine anno, Matteo Renzi fosse serio. Non sappiamo se il premier, stamane, fosse in vena di scherzi. Non ci resta che sperare – pensate un po’ – che mentisse sapendo di mentire. Ma non sapendo quale ipotesi corrisponda al vero, ed essendo cresciuti alla vecchia scuola che vuole che le parole sono importanti, tocca prendere un poco sul serio la dichiarazione del presidente del Consiglio e provare a guardarci dentro.
In una conferenza di (quasi) fine anno in cui i piatti principali erano ovviamente tanti (il Jobsact, le riforme, il futuro del Quirinale, e così via) i temi di attualità da affrontare. Nel mezzo delle pietanze principali, tuttavia, Renzi infila qua e là un po’ di contorni di narrazioni e autonarrazioni che hanno, naturalmente, pieno diritto di esistere e che però spiacerebbe perdere per strada solo perché c’è ben altro a cui pensare.
Ad esempio, dice la frase che avete trovato nel titolo. “Leadership è mettersi accanto persone migliori di sé”. Partiamo dalla parola “accanto”. Accanto vuol dire vicino, che lavorano gomito a gomito con il leader stesso. Dunque, sembra che non si possano considerare “accanto” a Renzi il neo-consigliere (abbastanza sporadico, nella presenza romana) Andrea Guerra o il neo-presidente dell’Inps Tito Boeri. Giusto per citare due persone di sicuro livello e di comprovate competenze.
Tolti i due, e andando proprio accanto al premier, viene obbligatorio passare in rassegna lo staff governativo e la squadra della macchina renziana, giglio magico e segreteria di partito compresa. Ecco, a scorrere le figurine, non pare di scorgere da nessuna parte i giganti che possano oscurare il leader (riconosciuto), cioè Renzi stesso. Il confronto non è impietoso, ma umiliante, se lo si fa con epoche (anche recenti, e non proprio gloriose) della politica italiana, e diventa impossibile per ko al terzo secondo se ci spostiamo in altri paesi democratici dove, “accanto” a un Obama si siede – chessò – una Hillary Clinton. O vicino a Blair stava Giddens.
Sì, certo, il paese è diverso, e non è colpa del leader se la farina con cui è chiamato a fare il pane è quella che è. Ma certo, molta, è quella del suo sacco. Per cui, per tornare alla questione iniziale: davvero Renzi, quando dice che il leader vero sceglie persone più brave di lui, pensa a se stesso e pensa di poter dire di averlo fatto? Se sì, la questione è quantomai preoccupante: perché vorrebbe dire che lui è così poco “bravo” da non accorgersi neanche che i suoi collaboratori sono al 90% meno bravi di lui, e in qualche caso probabilmente del tutto inadatti alla carica.
La fortuna – ehm… sì, insomma – la fortuna è che con ogni probabilità Renzi non crede a quel che ha detto, e sicuramente non crede di averlo fatto. Ha detto una bugia, o almeno una mezza verità. Meglio bugiardo che pirla, diremmo a Milano: e che l’antico “meno peggio” sia con noi.
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