Palmiro Togliatti e la classe politica che non c’è

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21 Novembre 2014

Il cinquantenario della morte di Togliatti è passato in un sobrio silenzio. Era il 21 agosto del 1964 quando il capo del Pci moriva e a rivederle oggi le scene dei suoi funerali (così come poi le ripropone Pier Palo Pasolini nel suo Uccellacci e uccellini certamente si ha la sensazione di un’Italia di un altro tempo. Lo stesso si potrebbe dire di quell’affresco concettuale costituito dal grande quadro di Renato Guttuso intitolato, appunto, I funerali di Togliatti).
Non che in questi anni qualcuno non abbia riproposto alcune suoi scritti (per esempio ne è uscita in questi giorni una corposa raccolta per Bompiani che colma un vuoto he durava da tempo) o abbia dedicato studi alla sua figura. Tuttavia tutto è rimasto molto sotto traccia. Se è lodevole che quella riflessione non abbia dato luogo a una “guerra religiosa” è tuttavia significativo che intorno a Togliatti ci sia il silenzio.

Un dato per tutti è sorprendente. A lungo molti hanno detto che la biografia e i punti di svolta  di  di Togliatti sembravano una storia senza archivi e dunque solo rendendo disponibili i documenti, si poteva pensare di aprire una uova stagione.  Non più tardi di sei mesi fa esce la un volume di sue lettere in cui si mischiano molti piani: quello delle sue passioni culturali, delle sue relazioni personali, delle sue relazioni politiche, del rapporto con i dirigenti interni del partito. Una raccolta di lettere che consente di valutare la vicenda di un uomo, spesso contornato da un’aura di mistero. E di farlo, finalmente, “ad alzo zero”, ovvero trovandosi accanto a lui sul terreno: sentendo talora la sua solitudine, la distanza dei militanti che lo rispettano ma che non lo comprendono, e che spesso lo ascoltano con diffidenza, e talatra il senso dell’arroganza del potere, ma anche entrando nel suo privato intimo.

Una scelta forse discutibile, ma certamente interessante che consente di comprendere molti aspetti della sua personalità. Tuttavia, pochissimi se ne sono accorti in questi sei mesi. Perché? Non credo perché i documenti improvvisamente siano diventati inessenziali. Questo silenzio è molo eloquente:  indica un aspetto profondo della modalità di discutere e riflettere sulla qualità della politica nel nostro paese.

In un’Italia il cui primo deficit è il vuoto politico, chiediamoci: perché è così difficile, o imbarazzante, riflettere sui politici che nascono e si formano come classe politica?
Non credo perché la figura del politico non interessi, o sia superata da un “afflato per la società civile” che in questi venti anni pur al netto della volontà, non mi pare abbia poi dato questa gran lezione né di coerenza né di capacità (se non nella vecchia questione dei “tecnici”).

La lezione che viene da quella figura, al di là dei giudizi politici, sulla natura delle sue convinzioni ideologiche, sulla dimensione della efficienza del suo essere figura di governo, è molto semplice: è la capacità di saper “ricominciare daccapo” una volta assaggiato il boccone della sconfitta storica o della chiusura di un ciclo politico. A pnsarci bene, è un dato che Max Weber circa un sec0olo fa aveva già descritto come qualità professionale del politico.

Non è vero né che un politico è un uomo di una sola stagione, né il tempo è un acceleratore che consuma in fretta chi si misura con la possibilità di fare e di decidere. E’ vero invece che oggi in politica manca la pazienza e dunque anche la capacità di pensare la cosa pubblica e di agire nella cosa pubblica oltre il tempo in cui si è protagonisti.

Talvolta invece occorre rimanere protagonisti, perché il tempo di mezzo, un tempo lungo come tutte le sconfitte storiche subite, non prevede la propria scomparsa, ma prevede ancora una funzione di comando, ma senza riscatto . Significa che perdenti non si costruisce un percorso per una personale nuova scalata al potere (Togliatti era consapevole che la sua sconfitta er anche quella di una generazione politica), ma che terminato un ciclo si resta in politica come costruttori di una nuova classe politica, che ancora non è in gradio di assunmere il comando.

Nel caso di Togliatti, quella partita implicava  risolvere i problemi dentro il gruppo dirigente di cui con difficoltà, solo intorno agli anni ’50 potrà dire per davvero di avere saldamente il comando. Fino ad allora era indiscutibilmente “il capo”, ma senza il controllo dei propri. Anche per questo uno degli assi centrali dellan sua azione è la politica culturale, ovvero la costruzione di un bagaglio concettuale in un partito la cui realtà è ideologicamente forte, ma culturalmente poco articolata.

Senza Togliatti Gramsci sarebbe rimasta una figura destinata ad essere ricordata come uno scrittore  di articoli e di note  critiche, curiose, ma anche “criptiche”. E’  Togliatti a trasformarlo  in “classico del Novecento” (parallelamene, si potrebbe dire è ciò che è mancato a FIlippo Turati) . Quell’operazione  è parte di quella vicenda che ne accompagna il lungo purgatorio di un quindicennio fino alla morte per non farsi marginalizzare dalla politica. Per dare ancora una chance alla sua parte a svolgere un ruolo di protagonista nell’arena politica, e consentire una possibilità di storia dopo di lui.

 

TAG: antonio gramsci, Bompiani Editore, Filippo Turati, Giulio Einaudi Editore, I funerali di Togliatti, Palmiro Togliatti, Pier Paolo Pasolini, Renato Guttuso, Uccellacci e uccellini
CAT: Partiti e politici, Storia

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