Il Papa, Erdogan e gli Armeni
Sono passati esattamente 100 anni da quando il governo turco controllato allora dal movimento dei “ giovani turchi” si accanì contro gli armeni che vivevano nell’Impero Ottomano uccidendone qualche cosa come 1 milione o 1 milione e mezzo tra uomini donne e bambini. Questa operazione è stata definita da alcuni paesi occidentali come l’Italia un genocidio simile e ancorchè precedente a quello cui i nazisti sottoposero gli ebrei.
Gli armeni sono dal punto di vista religioso una popolazione cristiana in parte legata al Papa e in parte legata alla Chiesa Nazionale Armena. Sono una popolazione antichissima e portatrice, ancora oggi, di una grande cultura letteraria e musicale. In Italia si è costituita a partire proprio da quegli anni una forte colonia armena che aveva trovato salvezza attraverso le isole del Dodecaneso allora occupato, dopo la guerra con la Turchia, dall’Italia ma anche per un’antica tradizione di rapporti con Venezia e i gesuiti.
Durante la prima guerra balcanica del 1912 l’Impero ottomano diede luogo a provvedimenti in qualche modo contraddittori: cioè la leva militare generale e la dichiarazione di guerra santa. Gli armeni, che non erano mussulmani, non si sentivano coinvolti dall’impostazione religiosa che era stata data alla guerra contro i Greci, i Serbi e i Bulgari (tutte popolazioni cristiane) e d’altra parte si ribellavano alla coscrizione obbligatoria. Le diserzioni armene furono l’inizio, o meglio, il pretesto per la terribile persecuzione che si basava sulla violenza islamica dei bassi strati della popolazione, ma anche sull’avidità delle classi dominanti che guardavano alle banche e alle ricchezze delle famiglie armene.
Il Papa ha giustamente parlato di genocidio (nei fatti lo è al di la delle diverse e capziose interpretazioni giuridiche), Erdogan, o meglio il suo Primo Ministro, hanno voluto reagire scoprendo il fondo islamista e estremista della loro posizione politica probabilmente anche perché vogliono impedire l’entrata della Turchia nella Comunità Europea. Infatti le più moderne classi dirigenti turche nel mondo dell’industria e del commercio sono fortemente interessate a entrare nell’Europa, e l’Europa a riceverli, ma non sono islamisti e non sostengono il governo Erdogan, se non per paura delle ritorsioni di natura populista che esso può avere nei loro confronti. A parole, Erdogan si dichiara pro Europa ma nel suo intimo è contro l’occidente e cerca il consenso del delirio islamista delle piazze.
Non è un problema da poco se si pensa che la Turchia fa parte da sempre della Nato ma il partito dei militari che originava da Mustafa Kemal Ataturk e che sosteneva una politica di modernizzazione dello Stato (non di democratizzazione ovviamente) è andato via via disfacendosi e perdendo prestigio e compattezza, mentre l’attuale partito islamista di Erdogan si sta spostando su posizioni sempre più integraliste.
La reazione piccata del Governo turco alle parole del Papa che dopo vaghe e inconcludenti missioni pacifiste si è reso conto da alcune settimane della “caccia al cristiano” che si è aperta in tutto il Medio Oriente, seguono un comportamento ambiguo sul fronte delle provincie siriane occupate dal califfato e manifestano un grave imbarazzo nei confronti dell’occidente. La Turchia, lo si è già detto, e oggi un grande paese industriale e ha bisogno di rapporti commerciali con l’Europa e l’America. Erdogan ha bisogno del voto dei descamisados islamisti ma non gli può garantire che un futuro di fame e di contrabbandi petroliferi. L’esercito Turco, molto forte, è però armato completamente dagli Usa e ha costantemente bisogno di ricambi e aggiornamenti. Insomma, per concludere, le parole del Papa hanno rivelato una contraddizione profonda nella politica turca che nei prossimi tempi vedremo in qualche modo esplodere. Oh, il buon vecchio Akaturk!
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