L’acquisto di titoli che disabilitano la professione docente

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24 Febbraio 2022

“E quegli imprenditori: gliene basta
uno su tre e lo sfruttano a dovere.
Ai non selezionati ho detto: quelli dovete supplicare,
di economia, io nn capisco un’acca”.

Pochi giorni fa chiedevo ai miei alunni di esprimere la loro opinione sul diventare insegnante. Se secondo loro era un lavoro desiderabile, a cui ambivano, se era un lavoro che richiedeva poco impegno, alla portata di tutti. Nessuno dei ragazzi ha espresso la volontà di diventare insegnante, e la risposta è stata che reputavano fosse un lavoro impegnativo.
Ritengo il lavoro di un insegnante impegnativo per il carico di responsabilità di cui ogni insegnante si sente investito nei confronti di ciascuno di loro. Soprattutto ritengo l’accesso a questa professione un cammino faticoso, tortuoso, che richiede pesanti sacrifici. Già vent’anni fa l’accesso a questa professione richiedeva il superamento di un concorso alla cui prova scritta si presentavano 30.000 persone. Solitamente l’accesso all’espletamento del concorso era preceduto da una preparazione, che costava non poco, che durava qualche anno. Senza che ciò ovviamente fosse garanzia di riuscire vincitori. Si investiva su un sogno.
Molti per iniziare a lavorare si trasferivano a Nord dove c’era penuria di insegnanti, essendo questa figura professionale tenuta in poco poiché la retribuzione poteva essere equiparabile a quello di una commessa. Motivo per cui gli insegnanti hanno vissuto con non poche difficoltà lontano da casa, in un Nord il cui il costo della vita era, cosa vera tutt’ora, troppo alto rispetto allo stipendio percepito.
Un tempo la professione di insegnante la svolgeva chi sentiva la vocazione di insegnare e, inutile nasconderlo, appariva, desiderabile perché lasciava un tempo libero maggiore rispetto alla media dei lavori.
Qualunque fosse la motivazione, il raggiungimento di questo obiettivo richiedeva impegno e dedizione allo studio, spesso un sacrificio protratto anche quando si superava un concorso.
Col tempo, con l’avanzare della crisi economica e con il declino di alcune figure professionali che non hanno retto l’urto della stagnazione, l’insegnamento è diventato agli occhi di molti un’ancora di salvezza perché consente di avere una retribuzione stabile, un inquadramento, la possibilità di godere in futuro di una pensione. In tempi difficili, dove il lavoro è sfruttato, sottopagato, in cui l’imprenditoria ha difficoltà a sopravvivere, e persino il professionista ha una vita meno facile di un tempo -spesso si trova a dover lottare per farsi pagare dal cliente- l’insegnamento è diventato un lavoro desiderabile.
Quasi un prodotto, oserei dire. E come ogni prodotto sottostà alle spietate regole del mercato. L’acquisto dei titoli utili ad entrare nelle graduatorie è diventato necessario, e nessuno più si pone problemi di ordine etico quando acquista un master, un titolo di accesso. Si fa così, è il sistema che lo richiede, e non si può restare indietro, spoglio di certificazioni, se lo Stato ha dato vita ad un percorso obbligato con delle regole precise. Non assecondare le regole assurte a sistema significherebbe non essere competitivo, essere tagliato fuori da ogni possibilità di riuscita.
Il mercimonio di titoli pone come, inevitabile conseguenza, due ordini di problemi.
Il primo legato alla vocazione di fare l’insegnante, un lavoro che al pari del medico, dell’infermiere, dell’assistente sociale, richiede una capacità di entrare in contatto con l’altro, la percezione dell’umano e la capacità di ascolto. Il mio percorso scolastico pensato per fare l’insegnante, ha incluso due anni di psicologia e due esami di psicologia all’università, mi sono preparata per avvicinare l’altro.
La seconda questione, invece, riguarda la professionalità. Il reclutamento poco serio prepara davvero ad una professione che non è equiparabile all’impiegato comunale che deve apporre timbri, maneggiare carte e certificati?
Domande dalle risposte evase. Perché in tempi bui non si pensa alla vocazione, alle conseguenze che un alunno pagherà per il fatto di avere un insegnante per niente preparato. Non si investe sulla scuola, a cui si demandano sempre più responsabilità; perché formare una persona capace e competente se poi queste competenze non potranno essere spese sul mercato lavorativo che richiede solo alcune figure professionali, dimenticando l’importanza di altre? L’insegnante ad esempio.
Ieri, decine di tir hanno bloccato il tratto dell’autostrada A1 che va dal casello che conduce all’autostrada Salerno-Reggio Calabria fino alla barriera di Napoli Nord, a Caserta. Gli autotrasportatori protestavano contro il rincaro dei carburanti. Se consideriamo anche l’aumento dei costi dell’elettricità e di come il sovrapprezzo sarà pagato dal consumatore finale, è inevitabile chiedersi quanto ancora dovrà tirare la cinghia un lavoratore che percepisce uno stipendio.

TAG: certificazioni, mercato, scuola
CAT: Precari, scuola

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