Oltre le disuguaglianze: perché donne e matematica stanno bene assieme
Le donne non sono portate per la matematica. Quando pensiamo ai matematici, ci immaginiamo uomini snelli quasi rachitici, slanciati, con occhiali decisamente fuori moda, che camminano per strada con lo sguardo perso, immersi nel loro mondo fatto di equazioni, di forme astruse, di conti. Mentre le donne sono generalmente relegate al ruolo di maestre elementari, più propense al lavoro di cura.
Anche a latere, ci si immagina gli uomini come calcolatori infallibili, impegnati nella finanza o nell’informatica o nella statistica più applicata. Come hanno fatto notare Nicola Lacetera e Marina della Giusta su Domani, l’informatica, nata come ramo della matematica, è ancora oggi dominata da uomini.
Anche guardando ai due riconoscimenti più importanti nel campo, Medaglia Fields e Medaglia Abel, la situazione appare drammatica: fino a oggi solo due donne, Maryam Mirzakhani e Karen Uhlenbeck, hanno ricevuto rispettivamente la Fields nel 2014 e la Abel nel 2019.
Quanto sono veri questi stereotipi?
In due review pubblicate tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70 Eleanor Maccoby studiò il fenomeno, concludendo che le differenze di genere nel campo della matematica esistessero: la performance degli uomini risultava superiore rispetto a quella delle donne. In particolare, uomini e donne sembravano acquisire il concetto di numero contemporaneamente e le differenze nelle scuole elementari apparivano pressoché insignificanti. Il quadro cambiava però verso i 12-13 anni: in questo periodo, secondo Maccoby, gli uomini avevano un tasso di apprendimento della matematica superiore rispetto a quello delle donne.
In una meta analisi risalente invece al 1990 Hyde, Fennema e Lamon hanno analizzato 100 studi, concentrandoci sull’effect size d. Questo è definito come la media della performance maschile nei vari studi sottratta la media della performance delle donne, il tutto diviso per la deviazione standard. Data questa definizione, si può quindi studiare il segno di d.
Quando d è negativo, la performance delle donne è superiore a quella degli uomini, se d è positivo il contrario.
Nonostante le differenze siano trascurabili, secondo l’analisi sono le donne ad avere risultati migliori rispetto agli uomini. Scendendo più nel dettaglio, si nota che la performance delle donne è superiore rispetto a quella degli uomini nel calcolo e nella comprensione di astratti concetti matematici, mentre gli uomini appaiono più portati per il problem solving.
Questo ultimo particolare ha destato particolare preoccupazione negli studiosi e nelle studiosa: la capacità di problem solving è una skill necessaria per chiunque voglia lavorare in settori STEM, tanto nella ricerca più pura tanto nel campo applicato. Grazie ai computer, infatti, nessuno fa più i calcoli. Il ruolo del matematico è quindi quello di risolvere un problema o di creare un ambiente adatto affinché un computer possa risolverlo.
Studi più recenti mostrano che il divario tra performance di uomini e donne è andato assottigliandosi nel corso del tempo, nonostante questo divario sia più sostanziale nelle scuole superiori. Questo è dovuto al fatto che, poiché negli Stati Uniti l’organizzazione del corso di studi è decisa dallo studente, le donne tendono a non scegliere corsi di matematica avanzata o di fisica.
Se la performance risulta identica, o quasi, per genere, come mai il ramo STEM è ancora dominato dagli uomini?
Il fatto che il divario tra la performance di uomini e donne in matematica si sia assottigliato nel corso del tempo ci fa scartare una motivazione genetica. Negli ultimi anni infatti, proprio mentre il gap si assottigliava, sempre più studentesse hanno cominciato a frequentare corsi di Calculus, una sorta di analisi matematica più incentrata sul fattore computazionale più che sulla teoria, e il numero di studentesse iscritte a PhD in matematica è passato dal 5% negli anni ‘50 al 30% nel XXI secolo.
Le ragioni, quindi, sono di tipo culturale.
Lindberg et al hanno riassunto queste differenze: i genitori tendono a considerare più portati per la matematica i figli rispetto alle figlie. Mentre il padre tende a stimare il QI del figlio attorno a 110 e quello della figlia a 98, la madre considera quello della figlia più alto rispetto al padre (104) ma comunque più basso rispetto al figlio (110).
Anche l’influenza del giudizio degli insegnanti- più orientati verso gli uomini- influenza poi il livello di confidenza nei confronti della materia degli studenti, nonostante questo sia meno significativo nei primi anni di scuola.
Uno degli esperimenti che sono stati svolti considera due gruppi di uomini e di donne. Ad ambedue viene somministrato un test: ma mentre al secondo non viene detto che il test mostra differenze di genere, questo viene fatto credere al primo. I risultati mostrano che, mentre il risultato nel gruppo 2 è identico per uomini e donne, nel gruppo 1 sono gli uomini a uscire vincitori.
La scarsa rappresentanza di genere- ma anche etnica- all’interno della matematica genera inoltre un circolo vizioso. Non avendo figure a cui ispirarsi, le donne saranno meno spinte a compiere un percorso di studi STEM rispetto agli uomini.
Se quindi queste barriere in entrata e in itinere già rendono la vita delle donne faticosa, le barriere all’interno del mondo del lavoro sono l’ultimo tassello. Da una parte vi è l’ambiente ultra-competitivo condito da molestie e violenze, dall’altro vi è l’influsso di quello che Bourdieu chiamava Violenza Simbolica: l’idea cioè che la differenziazione di genere sia naturale tanto quanto quella sessuale. Questo comporterebbe l’esistenza di lavori da donna e lavori da uomo, caratterizzati dalle “naturali” tendenze dei due generi.
Se, come abbiamo detto, il problema è culturale, possiamo chiederci quale tipo di politiche possono essere efficaci per raggiungere una maggior uguaglianza.
Ovviamente un cambiamento nelle norme e nelle convenzioni che regolano la vita di noi esseri umani, soprattutto nel mondo del lavoro, sarebbe un tassello importante: offrire posti ben remunerati alle donne con posizioni di responsabilità spingerebbe più donne a frequentare facoltà STEM e a interessarsi alla matematica. Questo andrebbe inoltre a interrompere il circolo vizioso della rappresentanza, fornendo modelli a cui ispirarsi per le future matematiche.
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