Finanche Goethe si innamorò in “facebook”
I social sono stati progettati per tirare fuori il peggio della società? Fanno emergere unicamente alienazione, frustrazione, populismo? Per quanto mi riguarda, direi subito di no. Non sono mai stato d’accordo sulla demonizzazione della tecnologia, men che meno di quella che agevola la comunicazione, rendendola veloce, immediata, capillare. Non credo ai Frankenstein digitali che stanno deformando il mondo a loro immagine e somiglianza. Presto attenzione, piuttosto, a quella parte di umanità irrinunciabile, piccola o grande che sia, che si riscontra in ogni dove, anche su mezzi giudicati “infernali” come i social media. Va da sé che in quest’ottica il genere pensante, scrivente e comunicante che affolla il mezzo, divulga, oltre alla propria immagine, l’insieme del patrimonio intellettivo e cognitivo. Mi pare normalissimo, dunque, riscontrare nel web tutta la varietà e le prerogative del genere umano, dall’uso dell’intelligenza, considerata come una dote morale, a quello indecoroso dell’aggressività e della prevaricazione. Pertanto, un canale come facebook non solo può dar luogo a migliaia di contatti virtuali, mettere in circolo notizie e informazioni (sempre da verificare), dare indicazioni di lettura e altro ancora, ma può, in teoria, finanche avvicinare categorie dello spirito, permettendo loro di scoprire e sperimentare le “affinità elettive” di cui un umanista dello spessore di Johann Wolfgang Goethe ha narrato con sapiente ingegno.
La premessa è tale da consentirmi di dirvi, ora, senza farvi storcere il naso, che questo grande letterato e uomo di scienze si innamorò in modalità facebook, come potrebbe capitare a chiunque abbia un profilo social.
Noi che abbiamo letto il “Werther” a 18 anni, abbiamo finito per leggere tutto o quasi del suo autore. Io, poi, più in là, venticinquenne, sono stato a casa sua, a Francoforte, e approfittando della distrazione del custode mi son seduto per un attimo alla sua scrivania. La tentazione fu davvero troppo forte.
Nel celebre dipinto di Georg Melchior Kraus, sopra riportato, vediamo Goethe, all’età di 26 anni, che ammira un profilo ritagliato di Charlotte von Stein, uno degli amori più importanti, ma platonici, della sua vita. Si innamora di lei solo guardandone il profilo, prima ancora di conoscerla di persona. È un quadro molto sintomatico, non solo perché rivela un tratto caratterizzante dell’animo di Goethe, che scrive le sue poesie più intense quando la donna amata non l’ha ancora vista, ma soprattutto perché il suo atteggiamento, incredibilmente, non si discosta da quello di una qualsiasi persona che, oggi, potrebbe riconoscere in facebook, instagram e affini il volto della donna che è andato modellando dentro di sé.
L’atteggiamento di Goethe assunto nel dipinto, a ben vedere, risulta simile a un selfie che fissa l’immagine del suo innamoramento. Egli si fa cogliere in “flagranza”, mentre contempla l’oggetto della sua passione, a testimoniare la leggerezza e l’autenticità che vuole trasferire nella mano di chi lo dipinge, affidando al ritratto l’accezione di un autoscatto ironico. Non so perché, ma resto convinto che i grandi uomini del passato, contrariamente alla facile “sociologia” contemporanea dal dito puntato contro, avrebbero gridato alla meraviglia di fronte alle moderne possibilità di comunicare e interagire. Peccato, che, nella maggior parte dei casi, delle opportunità tecnologicamente avanzate a disposizione della divulgazione e l’interazione si faccia un uso tanto distorto e si critichino in maniera altrettanto scriteriata.
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