La città dei gabbiani: Roma e un futuro che ci fa paura

9 Giugno 2023

Ieri, tardo pomeriggio, sono uscito dal mio dentista, un distinto gentiluomo napoletano con studio sul borghesissimo Corso Trieste a Roma, ho girato a destra per imboccare via Corsica, deliziosa strada di case primo Novecento, giardinetti condominiali e rincospermi odorosi e mi sono fermato. Al centro della strada un gabbiano, del solito bianco inquietante, stava sbocconcellando i resti di un piccione. Un po’ infastidito dalla mia presenza è saltato sul tetto di un’auto per ritornare al fiero pasto indisturbato non appena sono passato. Ho fermato lo scooter pochi metri più avanti per fotografarlo, così bianco, e sono stato investito da un cazzotto olfattivo di percolato, odore di monnezza fermentata. Ho riavviato lo scooter e me ne sono tornato da dove venivo, costeggiando chiese con dentro quadri di Caravaggio e i Palazzi del potere politico.

A Roma sono tornati i gabbiani, tanti, e sono tornati, tantissimi, anche i turisti. I primi sono tendenzialmente solitari, i secondi vagano in sciami. Sono americani beefy, emaciate turiste francesi, vivaci scolaresche, anziani sudamericani. Solcano la città, riempiono un po’ bovini strade e attraversamenti pedonali, siedono, mangiano. Ti chiedi come facciano a muoversi nel caos sempre più mediorientale della Capitale, e a che livello guardino, se all’altezza uomo (e sopra) della Grande Bellezza o più in basso.

Guardassero in basso vedrebbero, in particolare in questi giorni, un disastro di immondizia, la nostra cattiva coscienza di feste che non ci possiamo permettere, che ha smesso di traboccare dai cassonetti ed è sparsa per terra, sui marciapiedi, nei vicoli. Mi dicono che sono ancora i gabbiani, che da ospiti più o meno indesiderati della città ne sono diventati metafora: si nutrono sempre più aggressivamente della città e dei suoi scarti, rapaci, fin che ce n’è. Un po’ gabbiani sono anche i millemila che partecipano alla vendita di Roma ai turisti, dagli equivoci buttadentro a quelli che si affittano casa de pora nonna, agli elegantissimi gabbiani che stanno mettendo un sacco di soldi per costruire a Roma alberghi di super lusso. Tra qualche giorno aprirà in Piazza Augusto Imperatore, pieno centro, l’Hotel Bulgari, profusione di marmi che annuncia le oltre 2.000 camere di livello top in arrivo a Roma nei prossimi tre anni. Mentre guardo le file chilometriche ai taxi a Termini e schivo le infilate di clochard nelle tende (non per protesta) sotto ogni portico penso a che cosa vede di tutto questo un turista che paga migliaia di euro a notte per una camera, poi mi spiegano che viaggiano su circuiti paralleli, accompagnati dagli immancabili pulmini Mercedes neri, da cui ti aspetti sempre escano dei killer ceceni vestiti di nero e armati di kalashnikov.

Un po’ gabbiani e un po’ piccioni sono anche gli automobilisti e i motociclisti che quotidianamente solcano le distanze abissali tra un capo e l’altro della città. Io sono tendenzialmente contrario alle auto in città, non servono, puzzano e deturpano il paesaggio, ma capisco nel disastro attuale chi, dovendo percorrere lunghe distanze, si affida alla protezione della “maghina”. Abito in un quartiere bene, mi muovo generalmente in bicicletta, ma ogni volta che mi tocca muovermi con i mezzi pubblici vengo assalito da un misto di scoramento e rabbia. Gli autobus passano con cadenza rapsodica, quando je pare, le stazioni della metropolitana, almeno le principali e storiche, sono catacombe riattate, gole buie e sporchissime. L’unico mezzo di superficie decente, il tram 8 che collegava la semiperiferia ovest con Piazza Venezia è fermo da tempo immemore per rifacimento, in slow motion, dei binari, sostituito da un autobus inghiottito dal traffico.

La resa a Roma ha il colore arancione della rete di plastica che delimita i cantieri, i crolli, le buche che conterrebbero un bambino di quattro anni, limite minimo per l’intervento dei vigili, e il giallo del nastro Polizia Roma Capitale, segno della presenza dell’esercito di Franceschiello in camicia bianca che non si capisce mai se fa quel che può o quel che vuole. La rete arancio e il nastro giallo appaiono all’improvviso, ché i lavori pubblici e i blocchi e deviazioni della circolazione perennemente al collasso a Roma sono epifanie mariane, avvengono quando vogliono, senza avvisare. Se nelle città europee, Italia inclusa, ogni cantiere oggi ti inonda di informazioni e storytelling, a Roma avviene e basta, si presenta e dura tendenzialmente per sempre, o comunque fino a quando ritiene. Chi lo ritiene? Si direbbe l’amministrazione comunale o qualche suo rametto, ma ne siamo veramente sicuri?

Roma è piena di politica e di governo, ma è forse la città più anarchica d’Europa, certamente d’Italia, somma dei fatti propri di tutti i gabbiani e piccioni che la usano, la vendono, la spolpano, provano a sopravvivervi. Un accrocco che più che difficile è inutile governare.

Ci provano i Sindaci, negli ultimi anni una successione di inettitudini e disgrazie. Finiti gli anni augusti dei Cesari Rutelli e Veltroni, siamo passati di botto agli ultimi imperatori d’Occidente coi loro nomi strani e un po’ ridicoli che non studia più nessuno. Allora si può leggere la successione da Alemanno in poi come si legge l’infilata di carneadi che accompagnò la fine di quella Roma, da Petronio Massimo a Romolo Augustolo. È così che un buon professore di storia, passando per ottimo europarlamentare e discreto ministro dell’economia diventa (riluttantemente, ma non te l’ha ordinato il dottore) la macchietta del Sindaco che forse non si è ancora insediato per quanto non si vede, non si sente, non marca la distanza dal disastro precedente. Senza volerli giustificare, fare politica vuol dire non ricevere mai scuse, è giusto pensare che una classe dirigente di basso livello si ritrovi a sua volta ulteriormente schiacciata e incapacitata dal casino che è appunto inutile più che difficile governare. Figurarsi se, come sperano dei gabbianini un po’ ingenui e dei gabbianoni molto grandi che nidificano nei circoli sulle rive del Tevere un arazzo così liso, impossibile da riparare, può sopportare l’ulteriore strazio di cemento, traffico, lavori straordinari senza l’ordinario dell’Esposizione Universale 2030 e bene, con la ragione degli orologi rotti, ha fatto Raggi all’epoca a ritirare la candidatura olimpica, non si fa leva sul legno marcio.

Meglio tirare avanti finché c’è ‘sto tramonto, ‘sto sole, ‘sta luce, ‘sta bellezza, e dove la trovi? Roma è too big to fail e non fallirà, ma che peccato lasciarla ai gabbiani quella che poteva essere l’alternativa umana a Milano.

TAG: expo, gualtieri, politica, raggi, Roma, turismo
CAT: Roma

Un commento

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  1. paolo-fusi 10 mesi fa

    Bravo. Purtroppo.

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