La vita ai tempi del Coronavirus, tra telefoni, mascherine e messe in streaming

23 Febbraio 2020

Non si può entrare, non si può uscire. Da una manciata di ore è operativo il provvedimento che per l’emergenza coronavirus di fatto sigilla Codogno, la città del “paziente 1” in Lombardia e altri dieci paesi del Basso lodigiano: Casalpusterlengo, Castiglione, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova de Passerini, Castelgerundo e San Fiorano. Lo stesso sta succedendo a Vo’ Euganeo, l’epicentro dell’altro focolare, quello in Veneto. Fuori, cioè nei paesi e nelle città vicine, molti tirano un sospiro di sollievo, che magari si evita il contagio. Ma dentro, in quella che ormai è stata ribattezzata “zona rossa”, fare anche le cose più semplici è già diventato dannatamente complicato.

Tipo? Tipo banalmente comprare le sigarette, visto che, come lamenta un utente Facebook sulla pagina “Sei di Casalpusterlengo se”, non si sa nemmeno se verranno riforniti i distributori automatici e le tabaccherie sono chiuse. O tipo fare la spesa: è da stamattina che sempre su Facebook cittadini dei comuni sigillati hanno preso a postare file oceaniche di persone, tutte più o meno pazienemente in attesa fuori dai pochi supermercati aperti.

Ma il problema non è solo cosa mettere in tavola. C’è chi chiede se non sia possibile fare una distribuzione di mascherine e disinfettante per le mani che proprio in questi comuni più a rischio sarebbero introvabili. Altri lamentano che i numeri da chiamare in caso di emergenza siano in tilt. E dove si lamentano? Ma sempre appunto sul solito Facebook.

Del resto uscire di casa è sconsigliato; fermarsi a parlare con qualcuno potrebbe portare il contagio. E così una buona fetta della vita quotidiana, in questi giorni bizzarri, si svolge online o al telefono che poi oggi è pure la stessa cosa, solo che se ai numeri di emergenza magari non rispondono per via delle linee sovraccariche, qualcuno su Facebook risponde sempre.  Bene o male, è un altro discorso. Perfino le chiese, anche se oggi era domenica, nel Basso lodigiano avevano i portoni chiusi, ma i Cappuccini di Casalpusterlengo hanno detto messa e l’hanno trasmessa in streaming. Su Facebook. E se le strade sono bloccate, la solidarietà da mezza Italia arriva lo stesso proprio attraverso il social – anzi i social di Mark Zuckerberg, visto che ci sono anche gli usatissimi Whatsapp e Instagram che sembrano diventati se non l’unico, uno dei principali collegamenti tra vicini di casa o di paese, e pure tra il dentro e il fuori.

Scorrendo le pagine dei “Sei di (…)” dei comuni della zona rossa in Lombardia, balzano all’occhio infatti i tanti messaggi di incoraggiamento che arrivano da mezza Italia: da Rho, che sta a due passi, come dalla Puglia; da Torino come dal Brasile. Una signora si offre perfino per spedire le introvabili mascherine a chiunque ne abbia bisogno e incassa una pioggia di like e di commenti stile diolabenedica. Altri, i credenti cristiani evangelici, fanno sapere che osserveranno una settimana di digiuno e preghiera affinché «gli ammalati vengano guariti, il contagio si fermi e che Dio dia intendimento alle autorità preposte». E così sia. Anche perché forse, di questa cosa da dare alle autorità preposte, un po’ ce ne sarebbe effettivamente bisogno.

Perché si fa presto a dire facciamo un cordone sanitario, ma farlo e anche e soprattutto spiegarlo è tutto un’altra storia. E così i dubbi, in rete, si moltiplicano: le banche saranno aperte? E le poste? E se qualcuno ha l’urgenza di andare, sempre per ragioni mediche ma che niente hanno a che fare con il coronavirus, fuori, magari verso Milano? Non solo. Ma oltre a chi ha il problema di dover uscire c’è anche chi deve rientrare e chiede: “io stavo in Sud Italia…” o “io ero all’estero, che devo fare per tornare a casa mia”? E c’è pure chi dovrebbe entrare ma poi uscire tutti i giorni, come il signore che ha genitori anziani a Vo’ Euganeo e vorrebbe sapere come fare a prendersi cura di loro se adesso il paese è blindato – e lo chiede pure lui attraverso i social. Sempre su una pagina Facebook, questa volta “Sei di Vo’ se…”, si fa sapere che per domani l’immondizia non si raccoglie. Perché è pericoloso entrare anche per gli operatori ecologici? E quando la si raccoglierà, allora? Boh.

Insomma, questa vita ai tempi del coronavirus, come la facciamo funzionare?

Domande che aspettano risposte. Problemi, i più diversi, che aspettano soluzioni. Arriveranno e arriveranno presto? C’è da sperarlo perché non si può fare a meno di pensare che questa vita da eremiti, ma molto social, che sa tanto di bizzarro esperimento sociale, potrebbe allargarsi a macchia d’olio assieme ai confini di questo temporaneo cordone sanitario. E perché in mezzo a tutta questo oceano di paura che come in un infinito gioco di specchi si amplifica all’infinito, onda dopo onda, online e offline, non possiamo fare a meno di chiederci: ci rendiamo fino in fondo conto di cosa stiamo chiedendo a queste persone delle zone rosse, che si potrebbero moltiplicare nelle settimane che verranno come le macchie di morbillo?

Intanto, alla fine di questo primo giorno di quarantena, sulla Bassa lodigiana, il sole si scioglie in un tramonto così bello da sembrare fuori luogo, pure lui rosso, d’un rosso fuoco. E qualcuno lo posta subito. Su Facebook.

(in copertina: una delle immagini di gente in coda a un supermercato di Casalpusterlengo tratte dal gruppo Facebook “Sei di Codogno se”)

TAG: coronavirus
CAT: Sanità

Un commento

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  1. xxnews 4 anni fa

    politicanti da strapazzo , ma NON QUELLI I OGGI , BENSI’ QUELLI DI “IERI” DELL’ALTRO “IERI” … che hanno fatto STRAME della NOSTRA SANITA’ , SI NOSTRA di noi cittadini …..un carrozzone lercio e marcio che nessuno è capace di gestire —- a differenza di altri stati , persino UE , CHE PUR partiti come noi da un incidente di contagio oggi aiutano i loro cittadini , mentre nei paesi NOSTRI , non si sa nemmeno se arriverà qualcosa da mangiare …..( delle sigarette si può fare a meno ma del cibo e dell’aiuto agli ANZIANI assolutamente NO ……..)…..oltre a non capire come provvedere alle normali questioni giornaliere di UNA SANITA’ ALLO SFASCIO

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