La recuperabilità [del malato] ha un prezzo, spesso molto alto, ed è quindi un fatto economico-sociale più che tecnico-scientifico (Franco Basaglia)
Il 24 febbraio si è svolto presso il senato della Repubblica l’incontro “Covid e lockdown: gli effetti collaterali sulla psiche dei bambini e dei giovani”.
Il prof. Renato Borgatti, Direttore della Neuropsichiatria Infantile della Fondazione Mondino IRCCS di Pavia, è intervenuto dicendo che “il disagio già rilevato nella primavera 2020 sembra essersi trasformato in franca patologia. Casi moltiplicati a causa dell’isolamento sociale, aumentano i numeri assoluti e anche la gravità delle patologie, tra cui atti di autolesionismo e tentativi di suicidio. Sono aumentate di oltre il 50% rispetto all’anno scorso le richieste di ricovero alla Neuropsichiatria della Fondazione per adolescenti in grave difficoltà”.
Distanziamento affettivo, perdita della socialità, compromissione delle amicizie, delle relazioni, dei rapporti interpersonali in genere. alterazione della dimensione stessa dell’esistenza, senso di vuoto e angoscia per il futuro: il lockdown ha purtroppo effetti collaterali drammatici, soprattutto su bambini e ragazzi.
C’è qualcosa di molto allarmante che si associa al più generale disagio per la chiusura delle attività economiche.
Si tratta degli effetti sulla psiche dei bambini e dei giovani dell’isolamento sociale, della paura del contagio, della dispercezione della continuità della linea del tempo.
L’allarme è stato lanciato lo stesso giorno sul Corriere della sera da Paola Sacchi, psichiatra che lavora alla direzione Welfare in Regione Lombardia: “I letti nelle Neuropsichiatrie lombarde sono aumentati: 112 su sei enti ospedalieri…ne servirebbero più del doppio…una cinquantina di minori sono in lista di attesa, altri collocati nelle pediatrie o nelle psichiatrie per adulti”. Quest’ultima soluzione d’emergenza è senza dubbio quella più terribile perché costringe gli adolescenti a misurarsi con un reparto privo di terapisti della riabilitazione e quindi di attività educative per loro e soprattutto li inchioda allo spettacolo della cronicizzazione che tutti gli altri adulti ricoverati rappresentano.
A fronte di questo quadro, quello che è mancato è “una risposta tempestiva sul territorio, per prevenire che la sofferenza emotiva percepita a causa della prima ondata si trasformasse in una patologia conclamata – continua il professor Renato Borgatti – Oggi sembrerebbe naturale chiedere più posti disponibili negli ospedali, certo, ma non basta; anzi il ricovero è l’ultima ratio che si dovrebbe sempre cercare di evitare. I veri interventi preventivi si realizzano rinforzando i servizi territoriali, con più neuropsichiatri, più psicologi, più educatori, lavorando con le famiglie e nelle scuole”.
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