Ripensare la scuola pubblica come luogo di inclusione e buone pratiche

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13 Dicembre 2021

“Le parole del professore sono solo tronchi galleggianti cui lo studente che va male si aggrappa in un fiume dove la corrente lo trascina verso le cascate. Ripete quello che ha detto il prof. Non perché questo abbia senso, non perché la regola si incarni, no, solo per trarsi momentaneamente d’impaccio”.

La scuola pubblica ha un valore intrinseco importante. Una scuola è pubblica quando ciascuno apporta il proprio sapere, la propria differenza, le propria capacità. É pubblico ciò che è di tutti, uno spazio condiviso in cui non esistono differenze di classe, e dove lo svantaggio culturale dovuto a un background familiare povero di stimoli culturali non porta l’alunno a sentirsi escluso, e quindi reticente a frequentare la scuola. La scuola è pubblica nella misura in cui non cura solo le eccellenze, ma tende a recuperare lo svantaggio, offrendo la possibilità di sanare quelle disuguaglianze che portano il figlio dell’operaio, del manovale, del proletariato in generale, a avere strumenti meno adeguati per stare al passo con un mondo che richiede una specializzazione sempre maggiore. Fornire gli attrezzi necessari a colmare il gap culturale è quanto la scuola è chiamata a fare; saper usare la lingua in modo appropriato, ad esempio, sebbene siamo nel tempo dell’informatizzazione, è necessario per comprendere il reale. La lingua dà forma ai nostri pensieri, crea il mondo che abitiamo, è il canale attraverso cui passano le nostre idee, le nostre emozioni e sentimenti, ci mette in relazione con l’altro. Il codice linguistico è la chiave di accesso alle varie discipline, la povertà linguistica ci espone alla non comprensione, all’incapacità di rielaborazione, all’impossibiltà di interiorizzazione.
Parliamo di intercultura solo quando si tratta di studenti stranieri o che provengono da cultura altre, la scuola italiana non riesce a cogliere la differenza culturale che riguarda anche le classi sociali. Il fatto più interessante da cui dovremmo partire per ripensare la scuola di oggi, è che sistematicamente perde coloro che ne avrebbero più bisogno, i dati dicono che più della metà degli studenti che provengono da famiglie che non hanno i genitori con un diploma, si perdono per strada, quindi che il successo scolastico è strettamente legato al titolo di studio dei genitori.
La scuola è pubblica se un alunno si sente accettato, se sente che il suo contributo è parte essenziale di un dialogo comune, se si sente rispecchiato.
Esempio tipico di come una scuola è tollerante, ma non inclusiva, è la presenza in classe di studenti stranieri verso i quali si mettono in atto strategie di integrazione che solitamente significa insegnare loro la lingua. Se ciò è fondamentale, è altrettanto necessario che il mondo di cui sono portatori trovi spazio nella classe di cui fanno parte, che la loro esperienza altra venga riconosciuta, che il mondo da cui provengono diventi anche il nostro mondo. Perché includere implica una comunicazione non unidirezionale, ma uno scambio alla pari, in cui tratti culturali, tradizioni, lingue e religioni, diventano, tramite il racconto, di pubblico dominio; significa, ancora, comparare e cioè imparare ad accettare la diversità, non a sopprimerla. Se così non è, si ripete l’errore del vecchio colonialismo che in nome della civiltà imponeva la forma di vita del paese dominante. In “Il razzismo spiegato a mia figlia” Tahar ben Jelloun, recandosi con la figliaalla manifestazione contro il progetto di legge Debrè sull’ingresso e sul soggiorno degli stranieri in Francia, le spiega cosa significa razzismo. L’autore nello scrivere il romanzo è partito dal principio che la lotta contro il razzismo comincia con l’educazione, evitando resoconti storici e temi teorici complessi, risponde alla domanda della bambina riportando esempi tratti dal quotidiano: la casa, la scuola, la televisione.
La lotta contro il razzismo deve essere pratica abituale: inizia cercando di dare un buon esempio stando soprattutto attenti all’uso delle parole. Alcune di queste vengono usate per offendere o per umiliare, altre per discriminare.
Grave, a tale proposito, è il diffondersi dell’home schooling cioè
dell’istruzione parentale o scuola familiare, una peculiare tipologia di istruzione che si svolge nel contesto domestico-familiare, quindi senza usufruire del servizio scolastico offerto dal sistema nazionale di istruzione.

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