Nazisti della grammatica vs lassisti rigorosi. Chi ha ragione?

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24 Gennaio 2019

Da quando esistono i social network le occasioni di confronto con le grammatiche altrui sono piuttosto frequenti e non di rado portano in dote acrimoniose battaglie. L’oggetto del contendere varia di volta in volta. Ma che si tratti di punteggiature allegre o inesistenti, di congiuntivi sequestrati, di periodi ipotetici creativi, di ortografie abusive o di pronomi relativi pugnalati, il risultato non cambia, l’appeasement sembra impraticabile.

Da una parte abbiamo i lassisti rigorosi. Secondo i quali l’importante è il comprendersi, non l’empatizzare con una “è” agonica e urlante spacciata per congiunzione. Dall’altra abbiamo i nazisti della grammatica, pronti a sguinzagliare filippiche patibolari al cospetto di ogni virgola fuori posto, a togliere il saluto in presenza di scelte lessicali avventurose e a immalinconirsi per la sorte del trapassato remoto, ormai mero giocattolo cacofonico accantonato in soffitta. In mezzo, sebbene raramente, rinveniamo gli sfortunati mediatori di entrambe le scuole: ferrati sulla lingua, ma aperti al cambiamento; distratti sulla lingua, ma inclini alla resipiscenza.

Tra questi ultimi potremmo collocare alcuni studiosi della University of Michigan che, tempo addietro, condussero una ricerca sul legame tra peculiarità caratteriali e attitudine alla correzione linguistica. Robe da americani. Risultato: esisterebbe un certo grado di affinità tra l’ortodossia grammaticale e gli individui predisposti alla chiusura, all’introversione e alla sgradevolezza. In sostanza, psicolinguisticamente parlando, i grammar nazi sarebbero degli stronzi misantropi.

E non pensate a una misantropia celeste o a una misantropia casual, scravattata, informale, brillante, ma a una misantropia professionistica, di quelle scrupolose, masturbatorie. I ricercatori del Michigan non lasciano spazio alle interpretazioni.

Tuttavia, a sentire Giorgio Manganelli, ascrivibile al novero dei nazisti della grammatica honoris causa, abbiamo l’impressione che la tesi del correttore-compulsivo-condannato-alla-stronzaggine-austera, sia un po’ troppo generalizzante, superficiale: “Io sono stato sempre, e destinato ad essere per il breve tratto che mi resta da vivere, uomo affatto insocievole, scostato e scostante, avarissimo di parole, castissimo di gesti, astemio da qualsivoglia passione; infine, ingrato agli altri, a me stesso oneroso. Ora che la mia vita si riposa in una breve, rovinosa chiarezza, posso redigerne uno stenografico rendiconto, e farmi, io, incordialissimo tra gli uomini, effimero fratello del mio leggente.” Qualche riga dopo: “Gli uomini vivono una facile vita sgrammaticata e anacolutica; a me è imposta la consapevolezza sintattica. Di quali indulgenze dialettali è fatta la tua giornata, lettore! Ma io sono un esigente purista.”.

Sull’asocialità ci siamo. L’eleganza, il respiro e l’autoironia di queste parole, però, sono difficili da coniugare con la stronzaggine notarile profilata dalle avide menti del Michigan.

Certo, non tutti i grammar nazi somigliano a Manganelli, ma non possiamo far passare, indirettamente, l’abitudine alle sottomarche linguistiche come indizio di apertura, di elasticità.

Quante volte assistiamo, da parte dei lassisti rigorosi, a vere e proprie rivendicazioni del parlar male e dello scrivere male. In loro ribolle una specie di populismo linguistico, anima del populismo medesimo, la cui fisionomia impone massima diffidenza nei riguardi di ogni termine che travalichi, anche di qualche centimetro, i confini del vocabolario standard.

L’eventuale bersaglio, in casi estremi, rischia di trasformarsi in un “professorone” per una consecutio temporum azzeccata, percepita immediatamente come antidemocratica. La trasandatezza espressiva assurge a sinonimo di immarcescibile onestà.

Eppure, a veder bene, la succitata ricerca sperimentale, benché punitiva nei riguardi dei grammar nazi – strafieri del loro titolo e del loro sentirsi polvere fonetica di primissima scelta malgrado la scienza -, non premia nemmeno lo scrittore dalla grammatica trasgressiva (su cui non si esprime). L’unico a salvarsi è il lettore magnanimo, svelenito, in grado di riconoscere l’errore e condonarlo. Una figura quasi mitologica.

Diciamocelo, non esattamente una ricercona. Non ce ne voglia l’Università del Michigan.

Conclusione: i grammar nazi, che non fanno granché per rendersi simpatici, sono forse troppo sensibili al supplizio della sintassi? Oppure il lassismo rigoroso è così egemone da meritarsi forme aggressive di resistenza?

TAG: Grammar nazi, Nazisti della grammatica, Psicolinguistica, social network, University of Michigan
CAT: società, università

Un commento

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  1. andrea-lenzi 5 anni fa

    a mio avviso, si risponde facilmente alla domanda una volta che si sia determinato l’obiettivo:
    se lo scopo è quello di mantenere la lingua italiana con le sue regole, allora il “grammar nazi” è chiunque a scuola abbia studiato e che tenda proattivamente a conservare la lingua. Del resto lo stato impone lo studio della lingua italiana nelle scuole per un gran numero di anni. In questa luce chi faccia errori e li spacci per neologismi, evoluzioni della lingua o li giustifica con qualsivoglia altra motivazione, è solamente un ignorante, nel senso letterale del termine. Se invece si vuole fare evolvere la lingua sulla base del parlato in TV, allora sarebbe opportuno eliminare lo studio della lingua italiana a scuola e fare risparmiare un sacco di soldi allo stato. Tertium non datur :-)

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