Qualcuno per favore dica la parola “Teatro”!

14 Febbraio 2021

Qualcuno dica la parola teatro! Qualcuno dica “teatri”! Vi prego!

Non c’è scampo: continuiamo a parlare di palestre, piscine, piste da sci, estetisti, addirittura c’è chi ha nominato i cinema. Ma i teatri mai.

Niente da fare, non se ne parla. A parte chi di teatro ci vive, chi si ricorda dei teatri? È stato salutato come un miracolo o quasi il fatto che il neopremier Mario Draghi abbia incontrato l’Agis, la confindustria dello spettacolo, nella persona di Carlo Fontana. Benissimo, gran passo avanti rispetto alla visione da “intrattenimento” del precedente primo ministro. Ma non basta. Qua non si tratta di riaprirli, ma almeno di ricordarli. I teatri rischiano di uscire dalla memoria collettiva. Non pervenuti. Un po’ come la Biblioteca di Alessandria: qualcosa che sappiamo sia esistito ma di cui nessuno sa più nulla. Allora vi prego, almeno noi che il teatro amiamo, facciamo proselitismo almeno all’idea, vista l’impossibilità della pratica, di Teatro.

Esternate dunque la parola teatro, e non solo in accezione negativa – il “teatrino della politica” docet. Dite Teatro a chi amate, alla mamma, al babbo, al postino, ditelo al cassiere in banca. Provate a dire Teatro come una dichiarazione d’amore, o di fronte al banco del pesce al mercato, oppure tra i surgelati e gli yogurt. Chiedete ai writers di vostra conoscenza di usare lo spray per scrivere Teatro sui muri delle città.

Quando andate dal barbiere chiedetegli che ne pensa del Teatro, così, come se niente fosse.

Facciamo in modo che non siamo solo noi, gli stretti parenti, gli affiliati, i partecipanti e gli emotivamente coinvolti, a ricordarci di quel che era/è il teatro.

E non lasciamoci convincere da quanti pensano di usare i teatri come spazi adibiti al vaccino. Prima la salute, va bene. Ma i teatri curano l’anima, lo spirito, l’intelligenza, la critica. Non sono contenitori neutri da adibire a stand farmaceutici e di pronto intervento. È vero: Esculapio e Dioniso erano vicini di casa, “catarsi” è un termine di origine medica, ma i teatri apriamoli e usiamoli per fare spettacolo, per curare qualcosa d’altro – non il maledetto virus.

Adesso vantiamo un governo appena sfornato. E sarebbe bello se qualcuno, pure alla sprovvista si ricordasse del Teatro. Non dico Mario Draghi, che peraltro si è espresso in termini leggeri di “apocalisse culturale” e che deve ripetere il mantra “ambiente, vaccini, lavoro, crescita, scuola”. Non dico Dario Franceschini, che per le misteriose leggi della politica nazionale essendo titolare del Ministero della Cultura sarebbe storicamente e tecnicamente sollevato, in quanto tale, dall’impegno di saperne qualcosa.

Ma almeno Orlando, Brunetta, o Cartabia, pure la Gelmini!

Pensate che bello se qualcuno dei neo ministri e ministre, chessò Patuanelli, se ne uscisse dicendo: “mi manca il Teatro!”. E se Di Maio rispondesse: “sì, andiamo a Teatro, è tanto che non vado!”. E se magari si mettessero tutti assieme in un CdM a parlare della riapertura? dando tempi certi? Accadrà mai?

Uscite fuori, dite “teatro” ad alta voce. Non basta, non servirà a nulla, ma almeno vi farà bene. Io ci ho provato, l’ho detto al barista. Mi ha guardato male ma mi sembrava già di stare un po’ meglio.

 

(nella foto, non collegata all’articolo, un bel ricordo: il Teatro Argentina di Roma pieno di spettatori)

TAG: A teatro su Radio6, Agis, CArlo Fontana, dario franceschini, Dioniso, Esculapio, mario draghi
CAT: Teatro

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