Radio International e la serialità a teatro. Intervista a Beppe Rosso

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21 Ottobre 2020

Gli ultimi mesi hanno cambiato radicalmente le nostre vite, il nostro modo di relazionarci, di fare e di vivere la cultura. I teatri, in particolare, si sono trovati a fronteggiare in prima linea una crisi mai conosciuta, fatta di distanza, dalle scene, fra attori, dal pubblico. Per chi vive di relazioni e nel rapporto diretto e costante con la platea costruisce il suo spazio espressivo, restare attivi, continuare ad alimentare lo spirito creativo ricostruendo un spazio “praticabile” fuori dalle scene, ha rappresentato una grande sfida. Fra coloro che non si sono rassegnati al sipario calato ci sono gli attori che collaborano con Acti Teatri indipendenti lo scrittore italo iraniano Hamid Ziarati e il regista Beppe Rosso che, proprio nel periodo di lockdown, hanno fatto crescere e maturare lo spettacolo Radio International, ora in scena a San Pietro in vincoli Zona Teatro di Torino. Un dramma seriale, in cinque puntate che, sviluppando ciascuna una storia a sé, si legano nel racconto delle vicende di una radio indipendente, impegnata a raccontare grandi temi di attualità quali migrazioni, l’avanzare dei nazionalismi, il diffondersi dell’odio sociale, proprio quando giunge la notizia di una possibile imminente chiusura dell’emittente. Sullo sfondo, costante di tutto lo spettacolo, l’avanzare dell’ipotesi di una svolta politica autoritaria nel paese e la crisi che, dal pubblico al privato, coglie la vita dei protagonisti. Uno spettacolo inconsueto, che invita lo spettatore a tornare a teatro dopo un lungo periodo di lontananza e lo invoglia a tornare, a ricreare un rapporto continuativo, puntata dopo puntata e che, ad oggi, ha ricevuto un’ottima accoglienza da parte del pubblico. Ne abbiamo parlato con il regista Beppe Rosso per capire meglio la “storia delle storie” alle spalle di questo importante lavoro.

Partiamo dalla domanda classica: come nasce Radio International?

Lo spettacolo nasce proprio nel lockdown, anche se l’idea di base era già in essere al momento della chiusura dei teatri e delle attività. Avevamo appena incominciato le prove di quella che immaginavamo come una scrittura scenica, fatta di tracce sulle quali costruire, attraverso l’improvvisazione, la storia. Passati appena quattro giorni dall’inizio del nostro lavoro è arrivato lo stop. A quel punto avevamo davanti a noi due possibilità: rinunciare allo spettacolo oppure provare a trovare nuove modalità per realizzarlo. Abbiamo deciso di “spostarci” sulla piattaforma Zoom che fra l’altro, data l’ambientazione della vicenda in uno studio radiofonico, non si discostava di molto dallo spazio scelto. Ci siamo così trovati a provare a distanza, ciascuno dalla propria casa, costruendo passo a passo il nostro terreno di gioco comune. Abbiamo individuato format e modalità che ci permettessero di salvaguardare interazione creativa e solidità nella costruzione dei materiali e alla fine, dopo tre mesi intensi di prove, ci siamo ritrovati con così tanto materiale da portare in scena che solo attraverso la serialità siamo riusciti a organizzare in modo compiuto.


I temi affrontati nello spettacolo sono molto complessi…

Sì, abbiamo deciso di dare spazio ad alcuni dei temi più attuali al momento intersecando situazioni personali – la crisi lavorativa, il precariato, il logorarsi (o rafforzarsi) dei rapporti in un contesto di crisi, la ricerca di opportunità e di una vita migliore – con grandi questioni quali il dramma dei migranti, l’avanzare d’intolleranze, odi e totalitarismi. Penso che sia urgente restituire, magari con linguaggi con i quali il pubblico ha familiarità, il senso della complessità del presente, portarci fuori da noi, dai nostri limitati contesti, aprire alle tante esperienze e realtà che ogni giorno “vanno in scena” attorno allo scorrere delle nostre vite.

In che modo il periodo di lockdown ha influito, al di là del metodo di lavoro scelto, il vostro percorso creativo?

Difficile parlare di elementi positivi nel contesto di lockdown, ma – volendone trovare uno – sicuramente abbiamo riscoperto il valore del tempo. Siamo riusciti a studiare, approfondire, dedicare del tempo a quella che i francesi chiamano recreation. Nella vita ordinaria raramente si ha tempo di far sedimentare i percorsi e di spaziare, pressati dalle urgenze quotidiane. In tre mesi abbiamo letto molto e ci siamo anche concessi il “lusso” di scoprire cose nuove, senza bisogno di un ritorno concreto immediato. Un aneddoto divertente: in questo spazio virtuale, con la possibilità di giocare con i ruoli, di sperimentare, anche il nostro fonico è salito sul palcoscenico, contribuendo in un’inedita veste attoriale allo spettacolo…


La serialià sembra essere una delle cifre caratteristiche della nostra epoca, se pensiamo al successo delle piattaforme di streaming e alla programmazione delle maggiori emittenti televisive. Con questo spettacolo la serialità entra in teatro, fra l’altro parlando di radio, il media moderno più longevo e “interattivo”…

La serialità consente di avvicinare il teatro al quotidiano, incuriosendo anche quel pubblico che più fatica ad avvicinarsi alle scene. Inoltre, dato il momento, ci permette di costruire una sorta di “abitudine” alla frequentazione dei nostri spazi, alla reciproca conoscenza, consente di riscoprire il tempo della relazione di più lunga durata. In questo senso può essere un’ottima opportunità. Inoltre il fatto che, nella finzione scenica, tutta la vicenda si svolga in una settimana, condensata poi in cinque puntate, ha portato a uno sviluppo quasi sincrono della narrazione, una modalità, anche questa, molto vicina ai format a cui il pubblico oggi è abituato.

Lo spettacolo sta riscuotendo un buon successo e apprezzamenti fin dalle prime rappresentazioni: scenari futuri?

Sì il pubblico ha risposto molto bene a questa nuova modalità di “partecipazione”. Si sono subito affezionati all’idea di incontrarsi una volta la settimana, come se si trattasse di un appuntamento fra amici. Probabilmente era tanta anche la voglia di riappropriarsi dello spazio teatrale nonostante le normali paure e perplessità. Prevediamo quindi più appuntamenti di replica finale, per permettere a tutti di concludere “la serie” date le ampie richieste. Poi speriamo di poter portare in giro lo spettacolo, normative permettendo. Ci tengo anche a dire che tutto questo percorso fa parte di un progetto più ampio, quello di Fertili terreni teatro, spazio di teatro contemporaneo composto dalle compagnie A.C.T.I. Teatri Indipendenti, Cubo Teatro, Tedacà, Il Mulino di Amleto, che a Torino operano per un confronto sperimentale e creativo fra attori, operatori e spettatori. Una connessione tanto più importante e necessaria oggi, in un momento in cui le distanze si sono acuite a causa della pandemia e il rischio dei percorsi in solitaria si è fatto concreto. Noi continuiamo a lavorare con spirito di comunità e rivolgendoci alla comunità del nostro pubblico.

 

RADIO INTERNATIONAL

la serie teatrale

Di Hamid Ziarati e Beppe Rosso

Regia Beppe Rosso

Con (in o.a.) Adriano Antonucci, Lorenzo Bartoli,

Francesco Gargiulo, Barbara Mazzi

Scene Lucio Diana

Sonorizzazioni Massimiliano Bressan

Produzione ACTI Teatri Indipendenti

Prima Nazionale

1,2,3 Ottobre _ Prima puntata

8,9,10 Ottobre _ Seconda puntata

15,16,17 Ottobre _ Terza puntata

22,23,24 Ottobre _ Quarta puntata

29,30,31 Ottobre _ Quinta puntata

TAG: A.C.T.I. Teatri Indipendenti, Beppe Rosso, Cubo Teatro, Fertili Teatri, Hamid Ziarati, Il Mulino di Amleto, Radio International, Tedacà
CAT: Teatro, Torino

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