Addio Pericle? Quell’equivoco sulla democrazia greca
“When democracy is used to justify shifting a country’s burden onto its neighbors, integration becomes impossible – and both democracy and the international order may be jeopardized” H.James
“O la democrazia o l’euro?”, si chiedeva stamane dalla colonne dell’Espresso Alessandro Gilioli:
“[…] è possibile la democrazia, restando nell’euro? Cioè c’è la possibilità di realizzare le scelte politiche per le quali la maggioranza si è espressa nelle urne? Oppure la delega di potere che avviene dentro la moneta unica è così ampia e stringente da non consentire ai governi eletti scelte diverse da quella che vengono loro imposte da fuori, dal mix di banche centrali e potenze economiche straniere?”.
Qualche settimana fa, su Project Syndicate, Joseph Stiglitz aveva espresso un concetto abbastanza simile,
“Seldom do democratic elections give as clear a message as that in Greece. If Europe says no to Greek voters’ demand for a change of course, it is saying that democracy is of no importance, at least when it comes to economics”.
Qui non si parla ancora di austerity, di presunte questioni morali o magari di quanto Angela Merkel sia miope o cattiva, qui ci si ferma ad uno stadio precedente e più alto, in certa misura: l’argomento è che il popolo greco ha parlato ed è necessario rispettarne la volontà, pena una ferita profonda ai principi democratici.
Ora, accade che nei prossimi giorni, a seguito dell’accordo raggiunto venerdì all’Eurogruppo – in una stanza dove la maggior parte dei presenti erano esponenti di governi democraticamente eletti e dove i più rigidi, pare, non sono stati i tedeschi ma gli spagnoli, i portoghesi e gli slovacchi -, i parlamenti di Germania, Slovacchia, Finlandia ed Estonia dovranno esprimersi per dare o meno il proprio imprimatur. In quale senso il parere di queste assemblee elettive, che insieme rappresentano oltre 90 milioni di cittadini (quasi nove volte la popolazione della Grecia), dovrebbe valere meno od essere meno vincolante di quello del parlamento greco? In quale senso, se essi rigettassero l’accordo, ciò rappresenterebbe un vulnus per la democrazia, considerato anche che, nell’ipotesi di un default di Atene, sarebbero proprio loro a subirne proporzionalmente i costi?
Ricordiamo anche di cosa stiamo parlando: il terzo bail-out della Grecia che si approssima, e i cui termini dovranno essere negoziati nei mesi a venire, se tutto va bene – e già sappiamo che tutto non sta andando bene, poiché le entrate fiscali hanno subito un mini crollo pre-elettorale e la fuga di depositi ha messo nuova pressione sul sistema bancario e, quindi, su quello economico -, comporterà l’esborso aggiuntivo di 40 miliardi di euro da parte dei paesi creditori. Queste risorse non sono nella disponibilità democratica di Atene, che non solo non è in grado di produrle, ma a cui il mercato non è oggi disposto a prestare nulla (fatta eccezione per il roll-over dei T-bill, gran parte del quale via istituti di credito ellenici).
Dunque, lo scandalo sta solo negli occhi di chi fa polemica politica, non certo in quelli di chi è interessato ad un’analisi spassionata delle circostanze: a fronte di tale situazione, alcune decisioni, seppur supportate vigorosamente dalla maggioranza interna, equivalgono alla esplicita volontà di redistribuire denaro altrui, inclusi, è noto, paesi più poveri della Grecia in termini di reddito pro capite. E’ naturale che esse incontrino dei limiti, senza che ciò debba far temere per le sorti della sovranità popolare: ad esempio, non si può promettere di cancellare unilateralmente le privatizzazioni ed aprire così un ulteriore gap nel fabbisogno di finanziamento, se tale finanziamento dovrà provenire dall’esterno ed è sotto il legittimo controllo democratico di terzi, i quali hanno il dovere di farsene custodi (esattamente il contrario di ciò che altri governi democraticamente eletti, peraltro, hanno fatto in Grecia tra il 2000 ed il 2009).
Magari tali politiche sarebbero attuabili al di fuori della moneta unica, ma la maggioranza dei greci, non senza ragione, non ne vuole sapere di uscire dall’euro, pare. Contraddizioni evidenti, che lo stesso Tsipras ha contribuito a creare in campagna elettorale e che ora, si inizia ad intravedere, avrà non poche difficoltà a riconciliare.
Poi, forse l’Europa ha sbagliato e sta ancora sbagliando tutto sulla Grecia, è una possibilità, se ne può discutere; non prima di aver messo da parte le mistificazioni sulla fine della democrazia, però.
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