Enrico
Piergiacomi
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Pubblicato il 25/08/2015

in: E se tornassimo a parlare di teatro?

Raccolgo eccome l'invito a parlare di nuovo di poetiche e di teatro. Anche perché queste discussioni sono in nostro potere e hanno la virtù di farci star bene, almeno per poco - e questo è ciò che conta. Discutere di finanziamenti e altro, invece, è materia per i pochi che hanno gli strumenti necessari, compresi [...] quelli economici. Per tutti gli altri, rischia di diventare solo espressione di malcontento. Non so, forse io incorro nell'errore opposto, ossia di non voler parlare affatto del FUS. Magari bisognerebbe assumere una posizione intermedia e "dialettica": inscrivere il problema dei finanziamenti in una riflessione più ampia, poetica, intellettuale. E' un'ipotesi, o un vaneggio? Un caro saluto, Enrico Piergiacomi.

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Pubblicato il 20/08/2015

in: Le nomine, i musei e i bandi: bravo Franceschini

Sono assolutamente d'accordo con te. Non capisco infatti come si sia potuta scatenare tutta questa polemica, intorno alla nomina dei direttori stranieri. Se il processo per il suo conferimento è stato pulito, i vincitori sono coloro con i migliori titoli/strumenti per gestire i nostri musei (tanto per fare una battuta, poi, questi spazi sono stracolme [...] di opere straniere di ogni epoca: non dovrebbe anche questo ledere il nostro "orgoglio italiota"?). Se invece era sporco, la malgestione si ripresenterà presto come evidente e si potrà correre ai ripari. Alla fin fine, come scrivi tu, quello che conta è - pragmaticamente - la crescita di questi spazi, che richiedono maggiori risorse. Sulla questione che il Milan riceve più sovvenzioni di tutto il teatro italiano e il relativo invito a invertire la tendenza, hai ovviamente ragione. Temo però che sia una lotta impari: è forse una legge umana il fatto che attrae di più lo spettacolo della forza di un atleta che ciò che giova all'anima e alla mente. Il concetto ricorre già in Senofane (fr. 21 B 2 DK): "Se qualcuno là dov'è il santuario di Zeus presso le correnti del Pisa in Olimpia, vincesse o per la velocità delle gambe o al pentatlo o alla lotta o affrontando il doloroso pugilato o quella temibile gara che chiamano pancrazio, certo apparirebbe più glorioso agli occhi dei suoi concittadini e ai giochi avrebbe il posto d'onore e la città gli offrirebbe il vitto a spese pubbliche e un dono che sarebbe per lui un cimelio; eppure, otterrebbe tutto questo, anche se vincesse alla corsa con i carri, senza esserne degno come ne sono degno io. Perché val più la nostra saggezza che non la forza fisica degli uomini e dei cavalli. Ben sragionevole è questa valutazione, e non è giusto apprezzare più la forza che non la benefica saggezza. Difatti, che ci sia tra il popolo un abile pugilatore o uno valente nel pentatlo o nella lotta o nella velocità delle gambe - che è la più celebrata manifestazione di forza tra quante prove gli uomini compiono negli agoni -, non per questo ne è avvantaggiato il buon ordine della città. Una gioia ben piccola le verrebbe dal fatto che uno vince una gara sulle rive del Pisa: non è questo infatti che impingua le casse della città".

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