filippo
renda
BIO

Ultimi commenti

Pubblicato il 14/09/2015

in: Quella droga chiamata Workshop

Caro Andrea Porcheddu, ho cercato di rileggere più di una volta le sue parole per non incorrere in facili equivoci. Se non scrivo male lei afferma che i laboratori sono una schiavitù, una tossicodipendenza; scrive addirittura "laboratori capestro"; consiglia vivamente a chi ha intrapreso la carriera di attore di starne alla larga, di uscire dal tunnel. [...] E una volta che questo consiglio verrà seguito, dove e come potrà avere luogo la ricerca artistica? in quale condizione spaziotemporale un artista potrà porsi degli interrogativi che siano avulsi da una messa in scena, da un pubblico giudicante? Forse, piuttosto, bisognerebbe chiedere a chi fa questo mestiere di non cercare e/o creare mezzi obliqui per trovare un lavoro, di non partecipare a un laboratorio confidando di venire scritturati per il prossimo spettacolo; di non organizzare un laboratorio per "arrotondare". In questo momento storico, in cui tutto è azienda, tutto è caccia spasmodica di profitto, in cui l'unico linguaggio universale pare essere quello contenuto nei conti correnti, bisognerebbe ridare dignità a chi fa ricerca, di qualunque natura essa sia, bisognerebbe sostenere chi esce dalle dinamiche del profitto per compiere sperimentazione. Credo sia importante sottolineare la differenza tra un laboratorio e un corso di teatro e tra un laboratorio e un'audizione mascherata. Spero che queste mie parole non vengano prese come una provocazione, ma possano fornire un contributo dialettico. Su una cosa sono assolutamente d'accordo: sarebbe utile smettere di cercare "Maestri", profeti in grado di mostrare la "via del teatro" anche ai ciechi e cominciare a investire maggiormente sui propri talenti, sulla propria professionalità e sul proprio nome (parafrasando Lacan nel seminario X): in questo modo, forse, i laboratori si svuoteranno di facili risposte per ridivenire spazi di domanda.

Altro Chiudi
CARICAMENTO...