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Pubblicato il 31/05/2018

in: La mafia si batte nelle scuole, poi (forse) a teatro e in tv

Lo scorso 25 maggio Monica Forte, presidente della commissione regionale antimafia della Lombardia, ha pubblicato un articolo intitolato NO ALL’EDUCAZIONE ALLA LEGALITÀ FATTA DAI MAFIOSI, concernente una giornata di riflessione sulla legalità che ha visto a confronto studenti di una scuola professionale e detenuti del carcere di Opera, condannati all’ergastolo per reati di mafia e [...] camorra. La legalità, si apprende dall’articolo, andrebbe trattata da magistrati ed esperti, tra i quali immagino siano inclusi gli avvocati. I detenuti per mafia sarebbero, dall’altro canto, le ultime persone alle quali affidare lezioni sulla legalità. La fotografia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino accostata ai detenuti avrebbe inoltre creato confusione, mentre, deduco, quella presente sulle porte degli uffici dei magistrati o sulle pareti dei tribunali risulterebbe in armonia con coloro che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, secondo questa versione, rappresenterebbero. Il 25 giugno 1992 Paolo Borsellino così si pronunciava: “la magistratura, che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò a farlo morire (Giovanni Falcone, ndr) nel gennaio 1988, se non forse l’anno prima...Denunciai quello che stava accadendo...Per aver denunciato questa verità io rischiai conseguenze professionali gravissime; ma quel che è peggio, profittando del problema che io avevo sollevato, l’obiettivo di questa iniziativa del consiglio superiore (della magistratura, composto di avvocati e magistrati, ndr), che sembrava solo nei miei confronti, si scoprì immediatamente per quello che in realtà era: doveva essere eliminato al più presto Giovanni Falcone”. Vediamo se, almeno per Paolo Borsellino, le cose furono diverse. Durante una deposizione Agnese Piraino Leto, moglie di Borsellino, riferì quanto segue: “Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere”. Ciò nonostante si deduce, dall’articolo pubblicato da Monica Forte, che quelle mafiose siano organizzazioni più pericolose e meno legali di avvocatura e magistratura. Secondo l’articolo qui in commento, inoltre, avvocati e magistrati sarebbero soggetti idonei a divulgare nelle scuole lezioni di legalità; deduco che simili soggetti siano altresì reputati adatti ad operare all’interno delle aule di giustizia e a candidarsi ad elezioni politiche, come invero accade regolarmente in tutti gli schieramenti. Sarebbe invece opportuno che i mafiosi, sempre da quanto risulta dall’articolo, si astenessero dal dare lezioni di legalità, salvo che si intenda offendere la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ciò che Giovanni Falcone pensava dei mafiosi pare contrastare con una simile presa di posizione. Ecco quanto egli riferiva: “l’imperativo categorico dei mafiosi, di ‘dire la verità’, è diventato un principio cardine della mia etica personale. Per quanto possa sembrare strano, la mafia mi ha impartito una lezione di moralità”. Sarebbe opportuno che la commissione regionale cosiddetta antimafia inizi a passare dalle parole ai fatti, anche con piccoli gesti simbolici. Innanzitutto, visto che tiene così tanto alle figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, inizi a rispettarli usando i loro nomi invece che solo i cognomi quando li nomina. Sempre con l’obiettivo di rispettarli, si attivi urgentemente per far rimuovere le fotografie raffiguranti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino dai palazzi di giustizia e dagli uffici dei magistrati, ossia degli appartenenti a quelle organizzazioni che, stando alle testimonianze dei diretti interessati, risulterebbero essere le mandanti degli attentati di Capaci e di via D’Amelio. Nell’utilizzare l’urgenza indicata, la commissione potrebbe tenere a mente le parole di Giovanni Falcone: “ho imparato ad accorciare la distanza tra il dire e il fare. Come gli uomini d’onore”

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