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Pubblicato il 17/08/2016

in: Corbyn e il Labour post-Brexit. Sguardi su un conflitto illuminante

Volevo scrivere due righe a margine di questa opinione che mi sembra davvero molto ragionata e capace di ripercorrere in maniera scorrevole quanto accaduto nel Regno Unito in quest'ultimo anno senza tralasciare le direttrici politiche di fondo che soggiaciono a questo rivolgimento. Ho seguito, in buona e vasta compagnia, con grande interesse l'ascesa di Jeremy [...] Corbyn e la ventata di rinnovamento si è percepita bene anche qui in Italia, benché da noi a sinistra troppo spesso siamo costretti a guardare all'estero per non guardare in casa nostra. E però, nonostante ogni paese abbia le proprie caratteristiche e i propri scenari politici, pure io non ho potuto fare a meno di rintracciare questa contrapposizione tra partito "aperto" - o "liquido" per essere più di moda - e partito "chiuso" - o "corpo intermedio", per essere altrettanto alla moda. Non saprei dire ora da quando ha preso piede questa discussione, anche se va detto che nell'arco di tutta l'esperienza repubblicana del nostro paese si è sempre ravvisata l'esigenza di una legge che disciplinasse la struttura dei partiti. Quello che però ci è dato sapere tralasciando il passato più remoto, è che oggi i partiti sono fortemente delegittimati e deboli; poco o nullo il potere, sempre più ristretta la platea degli iscritti. Questo è dato condiviso ormai ed è evidente agli occhi di tutti, e forse anche per questo l'esigenza di "riformare" i partiti si può prestare a campagne politiche azzardate come l'abolizione tout court dei finanziamenti pubblici. E tuttavia, l'esigenza di riforma dei partiti richiederebbe secondo me una più attenta riflessione: in una democrazia rappresentativa, i partiti sono lo strumento attraverso cui il popolo esercita la propria sovranità popolare eleggendo i suoi rappresentanti all'interno delle istituzioni: altri strumenti non ce ne sono, o se ve ne sono, sono inevitabilmente un gradino sotto per dire, rispetto al processo democratico delle elezioni. Vogliamo o no, i partiti quindi sono necessari, e non ne possiamo fare a meno, salvo cambiare la forma di stato. Anche questo mi pare un dato abbastanza evidente alle persone più accorte, e proprio qui mi pare si prenda la piega sbagliata: non potendo cancellare i partiti, rendiamoli se non inesistenti quasi inesistenti. Ed è paradossale che questo messaggio arrivi proprio dalla politica, da parlamento e governo, che in verità dovrebbero essere frutto di questi partiti. Ma, a onor del vero, chi frequenta la vita di partito vede un distacco sempre maggiore tra il partito della cosiddetta "base" e il partito degli "organi dirigenti". Il primo molto debole, il secondo invece molto forte. Nel corso degli anni, a quanto pare, la politica si è fatta cosa per pochi, per cui gli "eletti" si trovano a contare sempre di più mentre il semplice iscritto al partito sempre meno. E' difficile su due piedi rintracciare le cause, e molto probabilmente a sinistra anche una profonda mancanza di chiarezza sul dove andare ha contribuito a questo svuotamento del contenitore partito, ma di fatto i partiti si sono progressivamente trovati ad essere dei dopolavoro impotenti di fronte alla velocità degli amministratori eletti, tagliati fuori dalle segrete stanze dei palazzi. E di conseguenza, con nulla o poco da dire nelle piazze. Questo è secondo me il punto fondante. I partiti non funzionano perché vi è una dissociazione macroscopica tra i vertici e la base che stravolge il concetto di rappresentanza e li rende scatole vuote, detestabili dall'esterno e inavvicinabili. E a nulla serve lo strumento delle primarie se questo poi si trasforma in un plebiscito e i meccanismi interni rimangono gli stessi. Perché io condivido la politica di Corbyn ma non quella di Renzi, però il modo è stato lo stesso: entrare sfruttando una forte massa di "esterni", e questo può essere un bene ma anche un male. Per cercare di concludere senza allungare troppo il brodo, non credo che il "partito liquido" di cui si parla, che di fatto si traduce in un partito del tutto snaturato e contendibile, anche se il termine che troverei quasi più adatto è quello dello stupro, uno stupro naturalmente figurato e politico, non credo che questo sia il partito migliore per il domani. Né credo che il partito possa rimanere chiuso, materia di iscritti, posto che gli iscritti ai partiti sono di gran lunga enormemente di meno rispetto a quanti erano vent'anni fa, perché un partito non può permettersi il lusso di atteggiarsi a semplice circolo culturale o associazione da dopolavoro. Solitamente chi non sa usare uno strumento scarica la colpa su di esso dicendo che è difettoso. A me sembra che troppo spesso si ricorra a questo espediente, e la contrapposizione tra le due visioni sopracitate credo rischi di portare acqua al mulino di un dibattito impostato in maniera errata. Forse, ma non ne sono sicuro, si potrebbe rimettere in sesto il sistema dei partiti dando finalmente attuazione all'art. 49 della nostra Costituzione, garantendo appunto un concorso democratico per determinare la politica nazionale; democratico per davvero, non solo sulla carta. Per questo non sarà mai troppo tardi se nel nostro paese torneremo a parlare di una legge sui partiti.

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