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Pubblicato il 04/11/2016

in: GLI UNDER 35 ITALIANI STRANGOLATI DALLA CULTURA MAFIOSA

Nota preliminare: ho 33 anni e ho vissuto in prima persona molte delle esperienze narrate. Nonostante l'interesse che suscita il mero raccontarle, le conclusioni che l'autore (o l'autrice) ne trae sono inaccettabili, per almeno tre motivi: 1) Quando parla della "generazione precedente", si riferisce a persone ricche o influenti: ovvero, ha completamente sbagliato bersaglio. Mio [...] zio operaio di certo non gli ha rubato il futuro. Il problema sono i ricchi e gli influenti, non certo i "vecchi" tout court. Prendersela con decine di milioni di persone per il malaffare di qualche centinaio (o migliaio) non è diverso dal sostenere che, ad esempio, tutti gli immigrati sono di default stupratori assassini. 2) La cultura mafiosa non è questa. Il "familismo" di cui parla è tipico di tutto l'occidente, ed è, in questa declinazione, banale classismo. L'autore (o autrice), io e tutti gli altri nelle nostre condizioni, dal punto di vista di chi comanda nei vari ambiti, semplicemente non siamo persone. Per cui, non è un problema italiano (si noti che la mobilità sociale in USA è MOLTO al di sotto di quella italiana), e, perciò, dire "i miei amici sono a fare GAMES OF THRONES (sic) mentre io sono qua marginalizzato/a", vuol dire, di nuovo, aver sbagliato bersaglio per la propria critica. Anzi, ancora peggio, asseconda quella mentalità colonizzata e autorazzista che vuole tutti gli italiani come dei buzzurri criminali, e quindi intrinsecamente incapaci di governarsi (da cui ne consegue: "l'emigrazione è un nobile atto intellettuale contro la barbarie del mio paese, per cui andrò all'estero a farmi sfruttare a sangue" e anche il "ce lo chiede l'Europa"). 3) È un florilegio di errori di battitura. Il che, da uno scrittore (o scrittrice), non è proprio il massimo. Se te la devi prendere con qualcuno, almeno abbi la grazia di capire chi è il tuo nemico.

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