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Pubblicato il 28/09/2018

in: Ripartiamo dall'ultimo romanzo di Francesca Melandri

Sembra giusto il tuo invito a discutere. Personalmente, parlando degli orrori di cui siamo stati capaci nel corso delle nostre imprese coloniali, tenderei ad arretrare, ad andare ancora più indietro nel tempo. Mi soffermerei su un anno, il 1911. Siamo in piena età giolittiana e gli italiani, sul finire dell’estate, invadono Tripoli. La occupano, ma [...] dopo pochi giorni a Sciara Sciat (a Foggia c’è una via che porta il nome di quella località) vengono sconfitti da arabi e ottomani. Per quanto prevedibile, la feroce ostinazione dei resistenti non era stata tenuta in conto dai vertici politici e militari che agivano da Roma e fu soprattutto a causa del cupo sentimento di disfatta che Giolitti stesso ordinò rappresaglie sanguinarie una volta riconquistate certe posizioni. Vennero eseguite fucilazioni sul campo, ma parve non bastare: si pensò allora di organizzare atti inutilmente crudeli, compresi dei rastrellamenti che coinvolsero anche donne e bambini. Più di un migliaio di civili furono trascinati su navi italiane e fatti sbarcare nelle nostre isole, a Tremiti in particolare. Qui i libici giunsero laceri, stremati, quasi in fin di vita per le malattie propagatesi durante la traversata. Vennero imprigionati all’interno di locali oggi semi nascosti agli occhi dei turisti che visitano l’abbazia di Santa Maria a mare e lasciati lì. Parte di loro morì di stenti, lentamente, per mancanza di cibo e acqua. Negli anni ’80 Gheddafi rivendicò i torti subìti, reclamando confusamente risarcimenti. Credo che tutto quell’attivismo non debba stupire e tuttavia mi sfugge una cosa che forse proprio Francesca Melandri, attraverso il suo romanzo, potrebbe aiutarmi a comprendere meglio: per quale ragione quel capo di stato si ostinò così tanto affinchè i pochi tremitesi abitanti a San Domino e a San Nicola facessero l’esame del Dna. Voleva accertare se quei prigionieri libici avessero dei discendenti, d’accordo. Ma in fondo, perché? Un saluto, Michele Nobile.

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