Nicola
Tirelli

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Nato a Pisa, in origine è un chimico. Ora sa e fa un po' di tutto, anche il professore a Manchester, dove NON tifa per le squadre locali. Inutile chiedere la sua opinione su United o City. Nel tempo libero si occupa di biomateriali, di farmaceutica e di medicina rigenerativa. Sul lavoro fa tanta amministrazione e [...] intrattiene su argomenti poco interessanti tanta gioventù poco interessata.

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Ultimi commenti

Pubblicato il 09/05/2015

in: Ecco perché oggi i sondaggi sbagliano (anche) in Gran Bretagna

Caro Paolo, anche se sono d'accordo con buona parte della tua analisi, interpreto in maniera diversa i seguenti punti: - il 'fallimento' dei sondaggi nella previsione dei seggi. Sono d'accordo con gli statistici che in queste elezioni eravamo interamente all'interno dell'errore statistico. Il risultato diretto dei sondaggi è inerentemente proporzionale, ma il sistema maggioritario reinterpreta i [...] voti con una forte sensibilità alle piccole variazioni al top, e nessuna al basso: basti pensare che UKIP (che è arrivato secondo o terzo ovunque) ha preso quasi 4 milioni di voti ed un parlamentare solo, lo scottish national party (che chiaramente esiste solo in Scozia) un milione e mezzo e 56 parlamentari. I dati 'sperimentali' (i sondaggi) devono quindi essere fortemente riprocessati, e qui ci sono poi elementi sia fattuali che soggettivi. Ed è la scelta conscia o incoscia di questi ultimi che porta a un 'bias' (che parte di un collegio analizzare, che tipo di pubblico contattare, in che giorno, a che ora, etc). In questo caso il bias è la considerazione che i potenziali elettori possano rispondere ugualmente a un sondaggio. Invece l'elettorato conservatore è più difficile da monitorare: più forte nelle aree rurali che sono più costose da monitorare, più forte nelle fasce alte che non sono molto contente di partecipare a sondaggi e che spesso hanno orari di lavoro non standard. Quindi non è stato affatto strano che i Tories fossero stati leggermente sottostimati e che per le condizioni specifiche questa piccola differenza abbia portato a una stima dei seggi molto sbagliata. Come ho commentato al post di Andrea Marcolongo sui 'big data', è difficile vedere queste forme statistiche come 'unbiased', oggettive. - l' 'errore madornale'. La vittoria dell'SNP era largamente annunciata e aspettata; anche se magari non in queste proporzioni, era comunemente assunto che avrebbero preso un minimo di 40 seggi (ne hanno presi 56 da 6 che avevano). Laddove sia i sondaggi che la strategia Labour hanno veramente perso è nella previsione dei collegi suburbani dei grossi centri (media borghesia), dove i conservatori sono avanzati contro ogni previsione. - la "progressiva perdita di memoria storica da parte dell’elettorato". Per prima cosa, questo è verissimo, ma questo è quanto i politici di ogni colore cavalcano da decenni. Un esempio recente: l'estensione del voto ai sedicenni per il referendum sul'indipedenza scozzese. Se avessero votato solo i maggiorenni, la maggioranza del no sarebbe stata ben più ampia. Se avessero votato solo gli over 25, con maggiore memoria storica, maggiore attenzione ai problemi reali e minore volatilità, per lo Scottish National Party sarebbe stata una disfatta. Una delle cause più importanti, forse la più importante: l'appiattimento di tutte le forme di insegnamento verso la individualizzazione (ciò che lo studente ritiene importante, o divertente) e la rilevanza professionale (ciò che un corpo professionale o i sondaggi indicano come importante per una professione). In questo caso gli scozzesi non c'entrano; in Gran Bretagna questo è stato un cavallo di battaglia del Labour. Come risultato, la storia è scomparsa come flusso e riapparsa come un insieme di periodi importanti ma scollegati tra loro; sostanzialmente, una storia insulare (in un paese insulare). Per seconda cosa, in realtà sono i partiti stessi a essere tanto 'liquidi' da abbandonare la propria memoria storica. I Lib-Dem hanno sempre sostenuto l'educazione gratuita di stato come pilastro della nazione; che coerenza possono dimostrare, avendo votato a favore di tasse universitarie di più di 9000 sterline/anno?

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Pubblicato il 04/05/2015

in: Big Data. Se per capire la politica ci vuole un'intelligenza artificiale

Una citazione molto comune dalle mie parti dice che "Big data is like teenage sex: everyone talks about it, nobody really knows how to do it, everyone thinks everyone else is doing it, so everyone claims they are doing it..." Questo riassume la valenza molto modaiola che questa espressione ha assunto; allo stesso tempo avverte della [...] necessità di rimuovere quella 'hype' che circonda gli argomenti culto del momento. Il punto critico infatti non è più riconoscere l’esistenza dei big data, ma procedere alla loro de-mitificazione: in statistica sia la presentazione che soprattutto l’interpretazione dei dati sono prodotti meno fattuali e obiettivi di quanto invece dipendano da azioni soggettive più o meno conscie. Mi spiego: separare dati da rumore, ovvero trovare una soglia significativa è già un’operazione soggettiva. Individuare popolazioni in base a caratteristiche determinanti (e la scelta di queste ultime) è un’altra operazione soggettiva. Il tipo di connessioni sviluppate in una rete neurale può essere fortemente influenzato dalla scelta soggettiva dei parametri originari. Infine (o meglio, all'inizio) la raccolta stessa dei dati è spesso un’altra operazione soggettiva. A fronte di questo, spesso troviamo una credenza quasi messianica che dati provati su grandi campioni statistici siano una verità fattuale. Per esempio, nelle campagne elettorali britanniche si fa un uso quotidiano di big data allo scopo di costruire una base fattuale per delle policies, o per crearne di nuove; da qui, la presenza di conclusioni diametralmente opposte ma tutte regolarmente basate su big data sul ruolo degli immigrati nell’economia, sulla sostenibilità del sistema bancario, sul successo degli incentive governativi al mercato immobiliare, etc. Quindi sarebbe opportuno che accanto all'enfasi sui big data, ci sia anche quella sulla loro relativizzazione. Se è vero che 'In politica, vince chi capisce il futuro prima degli altri', è anche vero che non si parla solo di un futuro fattuale, ma anche e soprattutto di una visione, magari accattivante, ma spesso consciamente soggettiva. Per esempio, se un politico capisce l'insostenibilità di una crescita economica infinita, probabilmente fa una previsione accurata, ma non gli conviene basarci la campagna elettorale e andare contro il modello economico corrente. Chi voterebbe per non andare nel paese dei balocchi?

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