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Pubblicato il 04/04/2015

in: Formare i docenti: SISS, PAS, TFA e altre amenità

Sono anch’io una tirocinante A037 dell’Università degli Studi di Milano e, come molti miei colleghi, sono piuttosto delusa dal TFA. Questa esperienza, infatti, si sta rivelando decisamente al di sotto delle mie aspettative e – a meno di colpi di scena dell’ultimo minuto – rappresenterà un’occasione sprecata di formazione seria per noi futuri (si spera) [...] docenti. Condivido la denuncia che emerge sia dall’articolo sia dai commenti riguardo all’approssimazione del MIUR e in generale dell’apparato organizzativo: i processi di selezione sono stati gestiti con poca serietà e il percorso vero e proprio presenta i numerosi problemi e falle, che i miei compagni hanno bene messo in luce nei commenti precedenti. Credo che l’istituzione di una laurea specialistica abilitante sia la soluzione migliore per formare gli aspiranti docenti, che in questo modo non perderebbero due anni a ripetere gli esami della triennale senza acquisire nuove competenze. Si avrebbe comunque la triennale per cimentarsi negli esami più disparati (penso ai vari ambiti a cui può aprire la filosofia: logica, ermeneutica, estetica, scienza…) e capire qual è il campo che più interessa; ma, una volta scelto di voler diventare insegnanti, si potrebbe subito intraprendere un percorso abilitante. Chiaramente l’accesso a questa seconda laurea dovrebbe essere regolamentato e a numero chiuso, come del resto già avviene per il TFA; si tratta però di istituire un processo di selezione serio (consiglierei, per esempio, di rivedere gli accordi con Cineca, dati gli exploit poco felici dell’ultima collaborazione). Una laurea abilitante dovrebbe fornire gli strumenti per acquisire le conoscenze e le competenze a cui si fa riferimento nell’articolo, e quindi dovrebbe prevedere: - esami disciplinari, tenuti da docenti universitari – nel caso della mia classe di concorso, le varie “storia della filosofia” e “storia” (antica, medievale, moderna, contemporanea). Questi corsi, infatti, pur essendo fondamentali, non sono obbligatori alla triennale e con le attuali disposizioni è possibile accedere al TFA anche senza averli seguiti tutti: è sufficiente avere un certo numero di crediti in esami dello stesso settore disciplinare; - laboratori didattici, tenuti da docenti di scuole superiori. Già previsti dal TFA, sono strumenti molto utili ma purtroppo sacrificati a vantaggio di esami solo nominalmente di didattica. Questi laboratori andrebbero valorizzati con un numero di ore più adeguato, in quanto permettono di riflettere sulla didattica, imparare “l’arte del mestiere” e le strategie, confrontarsi e soprattutto non perdere il contatto con la realtà con cui si avrà veramente a che fare; - esame e annesso laboratorio di pedagogia/scienze dell’educazione. Nella mia carriera universitaria non ho mai fatto esami del genere, ma è facile rendersi conto che la lettura di slide di powerpoint a cui questa disciplina è ridotta durante il TFA è una pratica del tutto sterile. Nozioni di pedagogia sono indispensabili per un insegnante, per esempio in merito ai BES (prima del TFA non avevo idea di cosa fossero), ma ancora più utile sarebbe provare ad applicare le conoscenze acquisite, analizzando casi particolari concreti e discutendo su soluzioni e comportamenti pratici; - laboratori informatici e linguistici, finalizzati anche alla conoscenza e all’approfondimento di nuove metodologie di insegnamento (ad esempio l’uso della LIM e la metodologia CLIL); - tirocinio diretto a scuola. Si tratta dell’attività più utile in assoluto per un aspirante insegnante, a cui si potrebbe pensare di dedicare l’intero secondo anno di specialistica, assieme a momenti di riflessione e confronto (vedi punto seguente). Con il tirocinio a scuola per la prima volta ci si cimenta come insegnanti, dapprima assistendo alle lezioni del docente accogliente e ambientandosi nella classe e a scuola, per poi mettersi in gioco in prima persona (tenendo lezioni, elaborando verifiche, partecipando a riunioni e consigli…) e contribuire attivamente all’organizzazione della didattica. Un discorso a parte va fatto nel caso in cui si avesse la fortuna di insegnare già, come molti dei miei colleghi di TFA, in scuole paritarie o private: in questi casi, non vedo perché la propria esperienza lavorativa non possa sostituire il tirocinio diretto, o comunque costituirne parte integrante. Andrebbe inoltre istituito a livello regionale un elenco di scuole e di docenti che si rendono disponibili come accoglienti, in modo da evitare casi di docenti impreparati ad accogliere i tirocinanti o addirittura infastiditi da una presenza estranea in classe. Si potrebbe pensare anche a una modalità per valutare questo servizio, così da riconoscere e gratificare chi si impegna e dà un contributo importante alla formazione del tirocinante; - laboratori di tirocinio divisi in gruppi, coordinati da un tutor proveniente dalle scuole superiori, per seguire di pari passo le attività svolte a scuola durante l’esperienza di tirocinio; - la stesura di una relazione finale, sotto la supervisione del tutor, in cui affrontare un tema incluso negli OSA dal punto di vista non puramente disciplinare, ma della didattica, mettendo così in luce quanto si è imparato durante il proprio tirocinio. Quello di quest’anno è il secondo ciclo di TFA e rispetto a quello precedente ci sono stati alcuni effettivi miglioramenti (per esempio, sono stati indicati gli argomenti da preparare per le prove selettive). Ma molte di più sono le criticità e, anzi, spesso si tratta delle stesse emerse con il primo ciclo di TFA – come l’inaccettabile ritardo dell’inizio dei corsi o la disorganizzazione relativa all’avvio del tirocinio diretto. Per questo credo che non basti cercare di aggiustare alcuni aspetti, ma sia necessario un radicale ripensamento del percorso per l’abilitazione, a partire dalle riflessioni dei malcapitati che ne stanno facendo le spese.

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