Kant a Ventimiglia

4 Settembre 2017

Immanuel Kant detestava notoriamente viaggiare e trascorse la totalità della propria esistenza a Königsberg, nella Prussia Orientale, città oggi ribattezzata Kaliningrad e parte dell’enclave russa sul Baltico. Cédric Herrou, cittadino francese salito alla ribalta qualche mese fa e condannato ad agosto in relazione al discusso reato di solidarietà, pare condividere la stessa avversione verso gli spostamenti. Nato a Nizza nel 1979, non ha mai lasciato lo stretto lembo di terra che separa il capoluogo da Breil-sur-Roya, paesino montano che ai tempi di Kant rispondeva al nome di Breglio e faceva parte di quella protuberanza che del Regno di Sardegna si estendeva verso la Francia.

Filosofo illuminista dagli ampi boccoli l’uno, coltivatore di olive con scarponi ed accessori da moderno intellettuale l’altro, non si sarebbero sicuramente trovati in disaccordo se l’argomento di discussione avesse contemplato il ruolo dell’Etica nella Storia.

In un brillante documentario diffuso di recente dalla versione online del Guardian ed intitolato The Valley Rebels, pare evidente come lo scontro che va in scena tra lo stesso Herrou ed il sindaco di Menton Jean-Claude Guibal sull’opportunità o meno di prestare assistenza ai migranti che cercano in gran numero di attraversare il confine tra Italia e Francia, non sia altro che una ripetizione dello scontro ottocentesco tra Immanuel Kant e Jeremy Bentham sulla migliore realizzazione dell’Etica nella Storia. Secondo Bentham, annoverato con Hume tra i padri fondatori dell’Utilitarismo, la moralità di una decisione va misurata non il sé ma in base agli effetti da essa prodotti. In Kant, d’altro canto, la morale ha una connotazione deontologica: si deve fare ciò che si ritiene giusto, indipendentemente dalle conseguenze che ne seguiranno. In un caso esemplificativo, un dottore che abbia bisogno di sangue fresco per salvare la vita di dieci pazienti, per Bentham troverà giusto sacrificare la vita di un undicesimo sfortunato, accorso presso l’ambulatorio per un leggero mal di testa, in quanto tale azione garantirà la felicità di un numero maggiore di individui. Per Kant, al contrario, dovrà somministrare un analgesico all’undicesimo in quanto decisione giusta e correre il rischio di perdere tutti gli altri.

Jean-Claude Guibal, così come Le Pen, Salvini e la stragrande maggioranza dei leader della destra europea, scelgono spesso di difendersi dalle accuse di mero razzismo con argomentazioni raziocinanti, à la Bentham. Proclamano: “Tutta l’Africa in Italia non ci sta”, come dire: “la felicità dei pochi in arrivo causerà un’infelicità ancora maggiore in coloro i quali ci sono già”. Bentham pare tornare di moda anche nei discorsi da bar, a tarda sera: perché salvare quelle anime che su gracili vascelli dalla Libia tentano la traversata del Mediterraneo? Lasciandone affondare una, si lancerebbe un ammonimento a tutte le altre. Di fronte ad una probabilità di riuscita più bassa, un numero minore di persone sceglierebbe di partire e un numero minore perderebbe la propria vita: la matematica della felicità parrebbe vincente.

Purtroppo per i loro propositori, tali argomentazioni peccano in più punti e non possono in nessuno modo fregiarsi del titolo utilitarista. In primo luogo, l’Utilitarismo pone le sue basi sul presupposto che chi effettua una scelta non ha a mente un vantaggio personale, ma il vantaggio per l’intera Umanità. Nell’esempio precedente, il dottore-utilitarista dovrà sacrificare l’undicesimo paziente anche se questi si rivelerà essere un suo conoscente o uno dei suoi stessi figli. In caso opposto, tale decisione non andrebbe interpretata come un’improvvisa e ponderata conversione all’Etica kantiana, ma come semplice Egoismo. I politici che pongono l’Utilità alla base delle proprie argomentazioni sono culturalmente ed emotivamente legati ad una della due parti in gioco (in questo caso: i cittadini francesi o italiani), e non possono in alcun modo intitolati alla giustificante Utilitarista. Il razzismo d’altronde, si sa, è la versione colorata dell’Egoismo.

 

Ventimiglia, novembre 2015
In copertina: Kaliningrad, gennaio 2011

 

La seconda debolezza filosofica dell’Utilitarismo della destra europea e d’oltreoceano risiede nel fatto che l’utilità e la felicità, quando applicate a sistemi complessi, sono grandezze difficilmente misurabili. Sommando la felicità e l’infelicità di dieci milioni di cittadini Svedesi e dei 163 000 richiedenti asilo giunti nel paese scandinavo nel 2015, quale valore si otterrebbe? E in Germania? Se si considera il solo dato economico, nel caso dei paesi appena citati i numeri sembrano essere dalla parte di chi si batte per l’accoglienza.

L’atteggiamento kantiano di Herrou verso gli infreddoliti migranti di Ventimiglia e di Breil-sur-Roya, che qegli accoglie presso il suo appezzamento di terreno tra tendoni in nylon, polvere e baccelli d’ulivo, si pone allora come l’unico imperativo filosoficamente giustificabile. L’Etica deontologica kantiana è l’unica ad offrire una soluzione di sistema. Una società dalla matrice Utilitarista è una società in cui l’uomo sceglie di arginare la sofferenza con una calcolatrice in mano, rinunciando alle proprie capacità di giudizio. La società dell’Etica deontologica è al contrario una società in cui l’uomo è capace di innovare il mondo intorno a sé, scegliendo ciò che è giusto ed offrendo un esempio per i propri simili. Le calcolatrici le si utilizzi per sviluppare modelli economici e legislativi in cui il trasferimento di risorse tra zone di ricchezza e povertà materiale non dia origine ad un’immensa area grigia, ma ad un’area di opportunità per tutti. Nel frattempo, si lasci la libertà ai singoli cittadini, se è nelle loro intenzioni, di seguire l’esempio tracciato da Cédric Herrou, che anche senza boccoli ma con scarponi di montagna, è Kant a Ventimiglia.

[photo credits: Zaytsev Artem and joushikijin]

TAG: diritti umani, europa, Filosofia, immigrazione, ventimiglia
CAT: diritti umani, Filosofia

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