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Pubblicato il 30/03/2015

in: Formare i docenti: SISS, PAS, TFA e altre amenità

Frequento il corso di Tirocinio Formativo Attivo per la classe A037 presso la Statale di Milano e avrei voluto iniziare questo mio commento dicendo cosa sono, ma mi sono resa conto di non essere in grado di definirmi. Sono una tirocinante? Non solo. Una studentessa? Come prima, non solo. Tieffina (come sembra ci chiamino negli [...] ambienti burocratici)? Per carità. Di sicuro non sono un'insegnante, visto che sono una tra le più giovani frequentatrici del corso e che ho messo per la prima volta piede nella scuola dall'altra parte della cattedra solo ora, come tirocinante. In questa mancanza di un nome per definirci si può stigmatizzare il disagio che viviamo: siamo in una terra di nessuno, talvolta visti male dagli studenti perché non possediamo alcuna autorità e veniamo avvertiti come presenze estranee alle dinamiche già consolidate, talvolta visti male dagli altri docenti del liceo (tranne qualche eccezione) perché non capiscono chi siamo (sono stata più volte scambiata per studentessa un po' cresciuta) e cosa stiamo facendo, talvolta infine visti male dai docenti universitari, perché non ci dedichiamo alle nobili elucubrazioni teoretiche ma interrompiamo le loro lezioni per avere qualche nozione di didattica. Andando poi più sullo specifico rispetto a quello che realmente facciamo/dovremmo fare il disagio, personalmente, aumenta. Innanzitutto i corsi di didattica disciplinare (didattica della storia e didattica della filosofia) che frequentiamo sono del tutto ridotti all'aspetto contenutistico - di cui nessuno vuole negare l'importanza - che non dovrebbe però essere l'aspetto predominante in questo contesto formativo. Ci troviamo così con due interi pomeriggi a settimana impegnati da lezioni disciplinari esattamente identiche a quelle che frequentavamo in università, che non ci insegnano quello che dovrebbero insegnarci, cioè spiegare quei determinati contenuti disciplinari a ragazzi di 16-17-18-19 anni. Si arriva al paradosso per cui in alcuni di questi corsi si fanno precisamente gli stessi argomenti su cui siamo stati giudicati per poter accedere a questo elitarissimo corso (abbiamo infatti dovuto superare tre prove per essere ammessi) e sui quali quindi siamo stati considerati preparati da quegli stessi professori. Credo che l'errore stia nel lasciare questi corsi di didattica - che dovrebbero rappresentare uno dei nuclei fondamentali per la nostra formazione - in mano ai docenti universitari, oberati di impegni e non più abituati al contatto con la realtà della scuola superiore. Invece dovrebbero a mio avviso essere individuati, tramite apposito concorso, docenti che abbiano una reale preparazione sul tema della formazione degli insegnanti e specificatamente sulla didattica delle discipline, cosa ben diversa ovviamente rispetto alla disciplina stessa. L'unico momento dove facciamo davvero didattica della materia, dovendoci mettere in gioco in prima persona ed essendo portati a riflettere su cosa significhi insegnare la materia stessa al meglio, sono i laboratori didattici, che si riducono però a sole quindici ore del nostro percorso (quindici per filosofia e quindici per storia): ci ritroviamo così a dover fare a casa tutto il lavoro previsto da questi laboratori, nel tempo libero che in realtà non abbiamo. Credo che volendo ripensare un percorso di TFA andrebbe dedicato molto più spazio a questi laboratori che permettono davvero di riflettere sulle modalità di insegnamento e di lavorare in gruppo, confrontandosi quindi con i colleghi. Maggior peso in questo ripensamento andrebbe sicuramente dato anche ai laboratori di tirocinio, unico spazio nel quale si ha modo di ragionare sulla propria esperienza di tirocinio a scuola condividendola e individuando punti di forza e punti dolenti. Infatti anche in questo caso le ore a esso riservate nel nostro percorso sono pochissime (23) e per lo più concentrate nel mese di maggio, quando l'esperienza di tirocinio volge ormai al termine e il laboratorio non può quindi più rappresentare uno strumento utile per rapportarsi ad esso e al mondo della scuola in generale. Riguardo poi al tirocinio a scuola, come ben sottolineato dall'articolo, un'attività che dovrebbe caratterizzare il percorso e rappresentarne il cuore pulsante si riduce a pochi e risicati mesi, costringendo i più a corse folli per il raggiungimento del monte ore di tirocinio diretto. Per quello che mi riguarda dovrebbe essere l'attività principale in un simile percorso di formazione e dovrebbe durare un anno scolastico intero, così da evitare di piombare nelle classi nel bel mezzo dell'anno, finendo per rappresentare un elemento posticcio di cui non si comprende bene il senso. Inoltre per quanto io mi trovi molto bene con la mia docente accogliente, che mi permette di fare lezione sui temi su cui mi sento più ferrata, che mi coinvolge sia in classe, sia nella redazione e correzione di verifiche e nelle interrogazioni (cosa che a quanto pare non tutti i docenti accoglienti fanno), reputo ugualmente che i docenti che volessero assumere il ruolo di docenti accoglienti dovrebbero aver fatto un percorso formativo che consentisse loro di svolgere questo ruolo nel migliore dei modi, evitando così le disparità più vistose tra colleghi tirocinanti che hanno a che fare con docenti accoglienti davvero volenterosi di formare nuove leve e docenti accoglienti che invece lo fanno solo perché costretti dal preside. Sarebbe opportuno dunque che esistesse un elenco regionale di docenti in possesso di qualifiche per svolgere il ruolo di accogliente e che da queste venisse attinto per assegnare ogni tirocinante a un docente, evitando così la situazione in cui noi ci siamo stati trovati di "caccia al professore" che acconsentisse ad ospitarci, in alcuni casi solo dopo essere stati rimbalzati più volte da altri docenti o da altre scuole. Se penso a un percorso davvero formativo penso quindi a un anno intero di tirocinio in una scuola, affiancato da un docente che sa cosa fare e come rendere il tirocinio produttivo, e a laboratori didattici e di tirocinio svolti, sempre lungo il corso di tutto l'anno, occupando solo due pomeriggi a settimana, in modo da consentire nei restanti giorni sia la frequentazione delle attività scolastiche pomeridiane, sia la preparazione e lo studio di materiale didattico. Rimane ahimè da commentare l'ultima attività che affrontiamo in questo TFA: il corso di Scienze dell'Educazione. Dovrebbe essere un corso importante, ma fatto come è fatto rappresenta la macchietta di se stesso e desta solo imbarazzo. Dopo cinque anni di università (e nel caso di molti colleghi dopo dottorati o anni di insegnamento già alle spalle) ritrovarsi di fronte a una persona che legge banalità scritte sopra misere slides è svilente. Non ho mai frequentato un corso di pedagogia, ma sono sicura che ci possa essere un modo per non farla apparire la scienza della banalità e sono sicura che noi corsisti avremmo bisogno di un corso ben fatto, ma così rappresenta solo un enorme perdita di tempo, che quindi eliminerei se dovessi pensare di rinnovare il percorso del TFA e a renderlo più produttivo. Nonostante questo ritratto così negativo che ho dipinto, credo davvero che ci siano nel TFA spunti buoni da sviluppare, eliminando però in toto i molteplici aspetti negativi. E spero che, pur nei suoi enormi limiti, una volta arrivati alla resa dei conti abbia permesso a chi, come me, si affaccia al mondo della scuola da dietro la cattedra per la prima volta di comprendere come fare per diventare un buon insegnante.

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