Osvaldo
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Pubblicato il 18/07/2023

in: Bridge ed educazione, connubio indissolubile per rilanciare l'intrigante gioco

Gentile Signora D'Alessio, ho letto solo oggi il suo interessante articolo che mi vede assolutamente d'accordo su tutto. Vorrei, da vecchio giocatore quale sono (gioco a bridge da 53 anni), aggiungere alcune mie considerazioni. Dove e come abbiamo tutti imparato a giocare a bridge cinquanta anni orsono? Come hanno imparato a giocare a bridge tutti [...] i nostri campioni e tutti gli altri campioni in giro per il mondo? Gicando in partita libera, il noto "rubber bridge". Perché? Perché era un momento di allegra socializzazione fra amici; ci si sfotteva, certo, si discuteva acerrimamente sugli errorri e sulle regole. E si imparava dai più esperti, che magari ti toglievano qualche lira ma che ti insegnavano senza umiliarti. Poi c'erano i circoli di bridge dove ci si incontrava per trascorrere in amicizia i sabati o qualche sera; si "faceva il tavolo" in modo adeguato: i forti sceglievano i forti (altrimenti non si divertivano), i medi con i medi, e le schiappe fra di loro. Ma c'erano anche momenti in cui ci si mischiava, perché magari mancava il quarto e ci si accontentava anche di uno più debole e costui si sedeva felice di poter giocare con i forti. Oppure si giocava mettendo qualche piccolo tasso, tanto per incentivare ed evitare difese strampalate. Poi arrivarono i tornei. Si metteva una piccola quota d'iscrizione e tutto il ricavato andava nei monte premi, tranne una piccola percentuale per il circolo, la famosa "cagnotte". Noi giovani giocavamo volentieri quei tornei, perché avevamo pochi soldi in tasca, anche se eravamo già laureati al primo impego (e io come ingegnere prendevo come un operaio, e il mio compagno medico come un infermiere), così arrotondavamo niente male! Non c'erano direttori da pagare, di solito il giocatore più esperto e famoso risolveva le poche dispute; non c'erano tasse da pagare alla federazione che in seguito si mangiò tutti i soldi regalando stupidi punti rossi che facevano diventare prima picche anche gli asini che poi si credevano buoni giocatori! Non c'erano esorbitanti cifre d'iscrizione ai circoli e tanto meno all'inutile Federazione Italiana Bridge. Ecco perch i giovani non giocano a bridge: perché l'ambiente dei tornei è estremamente deleterio, come ha giustamente detto lei, e gli anziani, solitamente caproni, cercano delle rivalse ai loro insuccessi della vita competendo in questo gioco; perché costa troppo per i giovani; e perché il torneo piace solo ai vecchi che hanno bisogno di rivalsa per le loro incapacità. Fate giocare in partita libera questi caproni e non prenderanno mai; fateli giocare a soldi contro quelli come me; fate giocare in partita libera i giovani con quelli come me e ci divertiremo un mucchio: noi vecchi husteremo l'amicizia con i giovani e i giovani apprezzeranno la saggezza e l'eperienza di noi vecchietti. Lasciate le federazioni ai malati di competitività e ai campioni che vogliono competere in ambito internazionale. Tutti gli altri che possano invece trovare ambienti sereni per un divertimento spensierato. Ecco come i giovani ritorneranno, come siamo giunti noi al bridge. E non è stato per miracolo!

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