Perché le donne (cattoliche) contano

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9 Marzo 2018

Ieri, 8 marzo, in occasione della festa delle donne si è svolto il quinto evento annuale “Why women matter” promosso da Voices of faith, organizzazione internazionale impegnata nel promuovere lo spazio delle donne nella Chiesa Cattolica, sia attraverso un’interlocuzione diretta col Vaticano, che mediante progetti di promozione femminile nei paesi più poveri.
L’incontro, negli anni passati, si era sempre svolto in Vaticano, ma quest’anno la Santa Sede ha ritirato la sua disponibilità a causa della scelta compiuta dall’organizzazione di avere Mary McAleese come principale relatrice. McAleese, nata a Belfast, ma poi fuggita con la famiglia a causa del conflitto nordirlandese, è stata Presidente della Repubblica d’Irlanda dal 1997 al 2011 e si è sempre adoperata, oltre che per la causa delle donne, anche per i diritti delle persone lgbt e per questa ragione il Vaticano ha ritirato il patrocinio all’evento che ha però trovato ospitalità presso la Curia generalizia dei gesuiti situata (significativamente) appena fuori dalle mura vaticane.
Davanti a una platea di donne, e qualche uomo, si sono alternate relatrici dalle parole potenti quanto le loro storie personali. Ha aperto Mary McAleese andando immediatamente al punto: “Il decreto del Concilio Vaticano II Apostolicam Actuositatem ha affermato” Siccome ai nostri giorni le donne prendono parte sempre più attiva a tutta la vita sociale, è di grande importanza una loro più larga partecipazione anche nei vari campi dell’apostolato della Chiesa”. La costituzione pastorale del Consiglio, Gaudium et Spes, ha affermato che l’eliminazione della discriminazione basata sul genere è una priorità… Sicuramente pensavamo allora che la Chiesa postconciliare fosse sulla buona strada della piena uguaglianza per i suoi 600 milioni di membri femminili… Straordinariamente, dal Concilio, i ruoli specificamente designati come adatti ai laici sono stati deliberatamente chiusi alle donne. I ruoli stabili di accolito e lettore e il diaconato permanente sono stati aperti solo per gli uomini”.
Ecco dunque la ragione di questo incontro e di questa azione di advocacy: la Chiesa postconciliare non è affatto diventata una Chiesa egualitaria e le donne continuano ad essere escluse da tutti i luoghi in cui si prendono le decisioni.
Nelle testimonianze di relatrici provenienti da molti paesi, impegnate nella lotta all’antisemitismo cattolico serpeggiante in Polonia, nei campi per rifugiati in Ciad o nella promozione dei diritti (alla vita anzitutto) delle donne lesbiche in Uganda la domanda che risuonava era sempre la stessa: se la Chiesa cattolica ci fa soffrire così tanto, ci sottovaluta, ci marginalizza, ci invita a tacere perché siamo ancora cattoliche? Così è nato, nella poliedricità delle esperienze, un inno d’amore a questa Chiesa patrigna, che si ama nonostante tutto e che si vuole veder maturare e per questo, per aiutarla a camminare, si è disposte anche al sacrificio personale.
È stato commovente ascoltare le giovanissime sorelle Nivedita e Gaya Lobo Gjiwala, indiane chiedersi “qual è il portatore d’interesse per la Chiesa cattolica: il gregge o i pastori? Perché noi giovani sperimentiamo che vengono allontanate le persone per difendere le gerarchie”. E nel loro, come in altri interventi, è tornato prepotentemente il tema dell’includere, il desiderio che all’interno del mondo cattolico si sperimenti davvero la comunità, l’accoglienza.
Non si è taciuto, nel corso dell’incontro, neppure il tema degli abusi e del silenzio nel quale questi abusi sono compiuti, ha affermato Nicole Sotelo (USA): “ho conosciuto per la prima volta il tema dell’abuso quando avevo 12 anni e ricordo le donne che mormoravano fuori dalla scuola, ma nessuna parlava apertamente e allora ho capito che per le giovani donne si inizia a 10-12 anni ad ammutolirsi per entrare nel paradigma patriarcale. Ma le ragazzine devono vedere nuovi modelli di donna cattolica , non devono essere costrette a scegliere tra il restare ammutolendosi o l’andarsene, devono poter scegliere di restare, essere se stesse e parlare” e la Chiesa deve essere un luogo sicuro, anzitutto per le donne e i bambini!
È stato impressionante ascoltare queste donne, la forza delle loro parole, la chiarezza delle loro argomentazioni, la libertà delle loro richieste e questo ha nutrito la speranza che in molti portiamo di una Chiesa egualitaria, ma guardandomi intorno un dubbio mi è sorto: possibile che in questa vasta platea, a Roma, manchino proprio le italiane? E in effetti sì, il sospetto mi è stato confermato da una delle organizzatrici: le donne italiane sono le più difficili da coinvolgere e se il Vaticano (o dintorni) è la sede di questi incontri, né le donne di Roma, né di altre zone sono vere interlocutrici.
È chiaro che noi donne cattoliche italiane abbiamo un problema immenso che riguarda anzitutto la presa di coscienza e poi la presa di parola riguardo al nostro ruolo subalterno e invisibile nella Chiesa. Occupiamo i banchi a Messa e svolgiamo la maggior parte dei lavori ordinari nelle parrocchie e di questo ci accontentiamo, senza riflettere su quanto il nostro contributo potrebbe essere determinante nel prendere le decisioni, nel segnare il cammino esercitando autorità.

Siamo sottomesse e contente… ma non tutte, non più!

Ora in questa rete internazionale le donne credenti italiane vogliono starci, formarsi e portare il proprio contributo: qualcosa si sta muovendo, molto ancora verrà.

TAG: 8 marzo, Chiesa cattolica, vaticano
CAT: Questioni di genere, Religione

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