Untold#2: il lobbying visto da Maria Cristina Antonucci (CNR e La Sapienza)

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28 Dicembre 2020

Maria Cristina Antonucci è ricercatrice in scienze sociali al Consiglio Nazionale delle Ricerche e insegna Comunicazione politica presso Sapienza Università di Roma. Si occupa di lobbying, advocacy e public affairs, tematiche su cui ha scritto monografie, paper e articoli in ambito nazionale e internazionale. Ha collaborato sul tema con imprese e società di consulenza, fondazioni e associazioni di cultura politica, organizzazioni di terzo settore, svolgendo ricerca e  formazione.

 

Cosa significa per lei lobbying e perché non deve essere considerata una pratica opaca come invece spesso avviene?
Il lobbying è una forma di rappresentanza di interessi particolari nei confronti dei decisori pubblici, chiamati ad individuare l’interesse collettivo. Rilevanti per avere efficacia in questa attività sono i fattori dell’organizzazione dell’azione di rappresentanza e l’accesso a risorse di conoscenza tecnica della materia su cui si svolge azione di lobbying. Ogni gruppo costituito attorno ad un interesse economico, sociale, lavorativo, culturale, istituzionale, nel momento in cui accede al decisore collettivo per promuovere e tutelare la propria attività compie un’attività di lobbying, perfettamente legittimata dal sistema laddove essa si pone in modo trasparente.

 

Qual è la condizione attuale del lobbying in Italia e in Europa?
Nell’Unione Europea c’è un sistema di regolazione condizionato ad incentivi (e non volontario, come dicono erroneamente molti) per i gruppi di interesse che è perfettamente coerente con la natura del sistema politico sovranazionale e tecnocratico. La regolazione del lobbying nella UE prevede infatti che solo i gruppi di  interesse iscritti al registro della trasparenza possano:  1. accedere al Parlamento europeo e incontrare i parlamentari; 2. essere chiamati  in audizione; 3. ottenere il patrocinio del Parlamento per eventi; 4. accedere alla Commissione e incontrare Commissari e Direttori  Generali; 5. ricevere notifiche automatiche all’avvio di consultazioni  pubbliche della Commissione; 6. poter partecipare ai gruppi di  esperti; 7. ottenere il patrocinio della Commissione per eventi. Questo significa che, pur non vigendo un obbligo di registrazione, i  gruppi di interesse che intendono lavorare stabilmente con le  istituzioni sono fortemente spinti a registrarsi per poter beneficiare  di queste condizioni, cruciali per lo svolgimento dell’attività di lobbying. Essere iscritto al Registro europeo della trasparenza, in altre parole, pur non essendo un obbligo è una condizione imprescindibile per svolgere la propria attività in modo trasparente, cooperativo, professionale e godere di una reputazione lavorativa adeguata.
In Italia, esiste, come ho scritto di recente, una “regolazione patchwork” per i gruppi di interesse, a sua volta coerente con due fattori rilevanti del nostro sistema politico: 1. l’accentramento nella dimensione statale del perseguimento dell’interesse collettivo riferito al modello di stato etico hegeliano, un fattore che ha a lungo relegato ad una dimensione di marginalità i gruppi che perseguivano interessi particolari; 2. la pervasività dei partiti politici nel porsi come prevalenti, se non unici corpi intermedi tra sistema istituzionale e sistema sociale, assumendo su di sé il ruolo di aggregazione e rappresentanza di interessi. Coerentemente con questo assetto, il lobbying trova solo spazi parziali per la propria azione, in quanto il sistema istituzionale non ne riconosce la rilevanza e il sistema dei partiti non intende cedere il proprio spazio.

 

Quale dovrebbe essere il rapporto ideale tra lobbying e politica?
Un rapporto trasparente in modo biunivoco, normato in modo leggero, sul modello europeo, che non preveda un sistema di controllo occhiuto e burocraticamente pesante.

 

Come si incentiva la pratica del lobbying trasparente?
Mediante incentivi selettivi di accesso ai decisori (incontri nelle sedi istituzionali, possibilità di presentare, anche elettronicamente e mediante piattaforma, documenti, testi e dati) e al processo decisionale (previsione di dispositivi di partecipazione alla fase pre-decisionale, audizioni, consultazioni).

 

Come incide un’attività di lobbying trasparente sull’economia di un Paese?

In modo positivo, con l’arricchimento del patrimonio di conoscenza del decisore pubblico mediante il confronto con portatori di interessi privati, dotati di un know-how tecnico ed economico.

 

Quali sono gli effetti dell’iscrizione dei gruppi di rappresentanza al Registro europeo?

Il numero dei gruppi di interesse particolare registrato a seguito dell’adozione del modello UE nel 2011 e della modifica delle norme per i decisori nel 2014 ha comportato un buon tasso di iscrizione, in considerazione della popolazione europea e della platea dei soggetti registrati. Se operiamo un confronto con i gruppi di interesse particolari registrati in USA, vediamo che, a fine del 2018, nel registro pubblico del Congresso USA ci sono 11656 portatori di interessi registrati, coerenti con il numero delle lobby nel Registro della UE, 11665, registrati al 2019.

 

Come pensa che un’associazione giovanile potrebbe esercitare azioni di lobbying a favore delle giovani generazioni?

Scegliendo con cura temi e campagne in cui l’interesse dei giovani risulti convergente con l’interesse generale, valutando di allearsi con gruppi di interesse coerenti in attività di coalition building, lavorando molto sulla scelta del livello decisionale (sovranazionale, nazionale, subnazionale) su cui incidere e integrando a fondo lobbying e advocacy.

 

Alice Dominese

Membro della Redazione e del Team Public Affairs di Yezers

 

TAG: lobbying, rappresentanza degli interessi, Regolamentazione, Yezers
CAT: Legislazione, Partiti e politici

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