“I problemi psichiatrici dei minori aumentano, e le risorse sono sempre meno”

7 Febbraio 2021

Secondo il rapporto dell’Ufficio di Ricerca Innocenti dell’UNICEF, delle Nazioni Unite, in molti dei paesi più ricchi del mondo, i bambini e gli adolescenti sono infelici. Nella maggior parte dei paesi, meno di quattro quinti dei bambini dichiara di essere soddisfatto della propria vita. E il suicidio è una delle principali cause di morte tra i 15 e i 19 anni. Inoltre, nella maggior parte dei paesi, almeno 1 bambino su 5 non ha fiducia nelle proprie capacità sociali e relazionali. Poi ci sono l’autolesionismo, i disturbi del comportamento alimentare come anoressia e bulimia, i disturbi della condotta, l’ansia, la depressione, le psicosi.

Tutti questi disturbi psichiatrici appartengono a quelli che vengono chiamati disturbi neuropsichici dell’età evolutiva, insieme ai disturbi neurologici (conseguenti a malattie acquisite o genetiche del sistema nervoso) e ai disturbi di sviluppo (disabilità intellettiva, disturbi dello spettro autistico, disturbi specifici del linguaggio e dell’apprendimento, disturbo da deficit di attenzione con iperattività, ecc.). Sono patologie che coinvolgono complessivamente fino al 20% della popolazione minore (tra 0 e 17 anni).

Le patologie psichiatriche, neurologiche e l’abuso di sostanze rappresentano peraltro oggi una quota molto rilevante del global burden of disease (impatto globale delle patologie) dell’intera popolazione, e più del 50% dei disturbi neuropsichici dell’adulto ha un esordio in età evolutiva o è comunque dovuto a eventi morbosi insorti anche molti anni prima della manifestazione del disturbo conclamato.

Fattori genetici ma anche ambientali (come la pandemia che stiamo vivendo o una situazione familiare particolarmente difficile) sono quindi di fondamentale importanza nello sviluppo di patologie o disturbi di questo tipo. E oggi c’è anche la rete: da un lato il web, i social network, rappresentano immense opportunità, dall’altro bambini, adolescenti, e spesso anche adulti, sono poco consapevoli dei potenziali rischi in cui potrebbero incorrere nel corso delle loro attività online. Qualcuno sviluppa una dipendenza da internet o da like, qualcun altro è vittima di cyberbullismo, fino ai casi estremi di istigazione al suicidio e partecipazione a giochi estremi.

Il sistema di cura per i disturbi neuropsichici in età evolutiva (ma anche in età adulta) in Italia però è troppo spesso dispersivo e soprattutto a corto di risorse. I servizi non bastano a coprire i bisogni. Molti bambini e famiglie non riescono ad accedere agli interventi terapeutici e riabilitativi di cui necessitano, e se vi accedono spesso non portano a termine il percorso. Esiste peraltro ancora lo stigma. Ma non esiste salute senza salute mentale.

Ne abbiamo parlato con il dottor Giorgio Rossi, direttore della Struttura Complessa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Del Ponte di Varese.

Ospedale Filippo del Ponte, ASST Sette Laghi, Varese. Foto: Il Ponte del Sorriso Onlus

Chi sono i bambini e i ragazzi che accogliete nel reparto di neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza?

Sono prevalentemente adolescenti con disturbi del comportamento, disturbi di personalità, comportamento suicidario, disturbi alimentari. Poi ci sono ragazzi che hanno perso il contatto con la realtà, cioè hanno problemi di tipo psicotico, e anche quelli con problemi neurologici, però accedono meno in reparto perché l’urgenza, quella che finisce in pronto soccorso, è soprattutto di tipo psichiatrico. Comunque, ricoveriamo anche soggetti con varie patologie a carico del sistema nervoso centrale. I bambini li ricoveriamo meno, sono meno dirompenti, riescono a non arrivare al ricovero, e molto spesso riescono ad essere gestiti meglio dai genitori. La parte di psicopatologia viene gestita di più in ambulatorio.

Quanti pazienti avete in carico?

In reparto abbiamo dieci posto letto e il ricovero molto spesso è lungo. Purtroppo in Italia tutti i servizi sono impoveriti, ci sono meno risorse territoriali per proseguire con la presa in carico di questi pazienti e quindi può diventare difficile dimetterli. Sia che siano pazienti suicidari o che abbiano difficoltà ambientali, a volte bisogna collocarli in comunità e non è facile, oppure bisogna mandarli a casa con un programma di cura che sarebbe importante attuare, ma non è sempre possibile attuare con facilità date le risorse a disposizione.

Che tipo di percorso affrontano questi ragazzi?
 
Quando arrivano in reparto sono in un momento critico e bisogna proteggerli. Facciamo la diagnosi e la condividiamo con i ragazzi e la famiglia. Facciamo passare il momento critico anche rispetto a difficoltà che magari sono anche ambientali o in famiglia. Se è necessario prescriviamo farmaci, se un paziente è depresso, suicidario, o psicotico i farmaci sono indispensabili. Il ricovero dovrebbe essere breve, di due o tre settimane, e poi ci deve essere il percorso ambulatoriale che coinvolge ragazzina/o e famiglia, con interventi educativi, in rapporto con la scuola, oppure c’è l’inserimento in comunità o in un centro diurno. E tutto questo è difficile. La rete non è abbastanza robusta, l’offerta non riesce a coprire tutti i bisogni. Siamo in ritardo in Italia in questo. Non ci sono abbastanza risorse per la salute mentale.

C’è forse anche poca consapevolezza su questo tipo di patologie a livello sociale?

Sì, e poi le famiglie che sono in sofferenza sono meno organizzate di quelle che si trovano ad affrontare altri tipi di malattie. Le persone che hanno questo tipo di problemi si consorziano meno per andare a chiedere risorse in Regione o al Ministero. Questa peraltro è una difficoltà internazionale. La salute mentale colpisce mediatamente in momenti eclatanti, ma riesce ad ottenere meno attenzione purtroppo rispetto ad altri tipi di patologie. Viene spesso trascurata anche se è di rilievo perché il 20% dei minori ha un problema di salute mentale o di tipo neuropsichiatrico, uno su cinque sostanzialmente.

Il nuove reparto di neuropsichiatria infantile dell’Ospedale del Ponte – Foto: il Ponte del Sorriso Onlus

Qualcuno sviluppa disturbi a causa “della rete”? Cominciate ad avere evidenze scientifiche di una correlazione tra i disturbi del comportamento e l’uso dei social network e di internet?
 
Sicuramente c’è un cambio di paradigma sociale per cui sono cambiati i rapporti e sono sempre più mediati dagli strumenti tecnologici e dalla rete. I ragazzi hanno il telefono sempre in mano. È documentato che l’uso dei videogiochi, dei mezzi mediatici aumenta l’aggressività in generale della popolazione minore. Anche nel campo dell’alimentazione, le ragazze soprattutto, in rete si istigano a  comportamenti alimentari patologici, come l’anoressia o la bulimia, e questo tipo di comunicazione ha un certo rilievo in una parte della popolazione. La cronaca poi ci riporta anche situazioni di istigazione al suicidio, all’autolesionismo ma questo non è un dato rilevante, a dispetto del clamore avuto da alcuni fatti,  sono situazioni per fortuna abbastanza isolate. Inoltre, c’è il tema della spersonalizzazione che porta l’uso dei mezzi mediatici e rende più facile per esempio il bullismo e il cyberbullismo. Il maltrattamento degli altri diventa più esteso, quando non c’è il feedback della sofferenza in presa diretta. La sofferenza passa anche attraverso la rete però non dobbiamo demonizzarla. Alcuni ragazzi che non hanno la possibilità di avere relazioni sociali, per mezzo della rete e dei social network invece riescono ad averle. Lo abbiamo potuto vedere anche durante la pandemia. Il problema è il cattivo uso di questi strumenti.

Riferendoci ai recenti casi di cronaca, cosa scatta nella testa di un ragazzino che arriva a mettersi in pericolo e addirittura a togliersi la vita emulando una situazione vista in rete?

Questo è in parte l’effetto del non reale. Difficilmente si comprendono i confini. Sembra tutto finto, virtuale. Non si considerano i veri rischi  e sembra tutto un gioco. Poi se il bambino o il ragazzino ha una predisposizione ai comportanti autolesivi può essere più facile che si metta in pericolo.

Questi casi fanno notizia ma ho la sensazione che in realtà i problemi siano soprattutto altri…
 
Si, questi sono casi isolati. C’è una minore percezione sociale dei disturbi dell’età evolutiva che colpisce quando ci sono fatti clamorosi però la sofferenza è più sommersa, anche per la preoccupazione dello stigma. Sono disturbi che sono più fonte di vergogna e sono meno comunicati. Poi però c’è anche una trascuratezza dell’importanza della sofferenza psicologica, non solo in età evolutiva ma anche in età adulta.

Che tipo di cambiamenti ha notato nei disturbi dei ragazzi negli anni?
 
Sono aumentati i disturbi del comportamento, quelli autolesivi. Una volta l’autolesività non era così presente. L’aggressività è cambiata e qui entra in gioco anche l’uso di sostanze, che è leggermente aumentato, da parte degli adolescenti. Questo è un fenomeno poco individuabile soprattutto per le nuove sostanze psicoattive, perché si tratta spesso di soggetti che ne fanno un uso sporadico, le ottengono dalla rete, online. L’uso di nuove sostanze psicoattive (sono centinaia e continuano ad esserne sintetizzate di nuove) è diffuso ed è un mercato sommerso. Rimane certamente diffusissimo l’uso di marjuana, o dell’alcol, ma quello delle nuove sostanze psicoattive è un fenomeno in cresicta e difficile da individuare, è meno controllabile.

Quanto conta l’ambiente sociale e famigliare nello sviluppo di queste patologie?
 
I ragazzi che hanno problemi di aggressività, per esempio, di solito hanno dietro situazioni difficili. Inoltre, oggi spesso c’è una tutela dei figli minore rispetto al passato, una fragilità familiare e sociale maggiore, meno meccanismi sociali di contenimento, minor autorità dei genitori. Anche la scuola una volta era più formativa, aveva un ruolo comunque più autorevole, era più credibile anche agli occhi dei ragazzi. Conta sicuramente la componente genetica ma molto anche quella ambientale e sociale nello sviluppo di patologie. Un ambiente sofferente e fragile determina una fragilità nelle generazioni che vengono. Anche la pandemia, poi, ha aumentato la sofferenza dei ragazzi, ci sono più suicidari, è una percezione diffusa tra operatori della sanità. Sono aumentati i disturbi e i disagi.

Oggi diventiamo adulti più tardi, eppure infanzia e adolescenza invece è come se durassero pochissimo…

L’aumento del narcisismo e dell’individualismo diffuso che osserviamo nella società determina un prolungamento dell’immaturità. Oltre poi a trovarci di fronte a problematiche legate all’accesso al lavoro, che spesso si trova tardi; i non impiegati e non in formazione scolastica sono aumentati. Dall’altro lato però la società ci propone modelli sociali precoci. Anche la sessualità ha anticipato i tempi. Solo che non tutti sono in grado di sostenere i modelli che la società propone.

Se un genitore percepisce un disagio in un figlio deve chiedere aiuto e affidarsi ai professionisti, la sanità poi certo deve saper rispondere, ma chiedere aiuto è il primo passo.

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TAG:
CAT: salute e benessere

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