Il rimpasto, il PNRR, l’“affronto” di Zaki: per Giorgia c’è un esame al giorno

23 Luglio 2023

E dunque, siamo nel pieno dell’estate in cui il governo di Giorgia Meloni e la sua leadership compiranno la maggiore età. È vero: è passato meno di un anno dal voto e anzi, per la precisione, è passato appena un anno dalle dimissioni di Mario Draghi. Ma – si sa – i bambini di oggi sono più precoci e svegli di quelli di un tempo, e il tempo dei tagliandi e dei passaggi simbolici arriva prima. Nel caso di un governo, tanto più se nato sotto la scomoda etichetta di una coalizione che contiene due forze con un recente passato populista, un anno è più che sufficiente. Non a caso, sull’onda dei guai giudiziari e reputazionali di Daniela Santanchè, si inizia a discutere di un rimpasto. Di una manovrà, cioè, con la quale la presidente Meloni, qualora si trovasse costretta a sacrificare la poltrona della ministra al Turismo, potrebbe però spingersi a chiedere anche ad altri alleati di faro lo stesso con qualche altro collega di governo. Non per ragioni di opportunità, ma di efficacia dell’azione politica. Il resto lo fanno le contingenze, e la natura dei protagonisti. Anche nella settimana che si è chiusa, e in quelle che arriveranno, abbiamo visto e vedremo all’opera entrambe. Le prime assegnano in eredità al governo Meloni  diversi dossier che valgono un esame di maturità. La seconda obbliga a un confronto con l’istinto e le ragioni del consenso di certi partiti e di certi leader, un richiamo della foresta che porta a spingere su certi tasti e ad incamminarsi su terreni scivolosi, che poi impongono di mediare e di trovare soluzioni per non perdere il contatto con le più alte istituzioni nazionali e con quelle sovrannazionali.

Stanno infatti in questo secondo cono di luce diverse delle questioni politiche che animano il dibattito all’interno della maggioranza e agitano la navigazione dell’esecutivo. Cos’è la “pace fiscale” sulla quale, da una decina di giorni a questa parte, punta le sue fiches Matteo Salvini, se non un tributo all’antica costituency elettorale del suo partito e, al contempo, una promessa deleteria culturalmente e rischiosa, almeno in prospettiva, per la salute dei conti pubblici italiani nonchè per il già faticoso camminao che dovrebbe portarci, prima o poi, a essere un paese con una tassazione giusta che più o meno tutti rispettano? Nonostante questo, eppure proprio per questo, la proposta torna fuori, come tornano fuori le bandiere delle tifoserie organizzare all’inizio della stagione calcistica. Di “pace fiscale”, cioè in sostanza di un condono fiscale per pregressi debiti da mancato pagamento delle tasse, si parla attivamente e se ne parlerà con volume intermittente tutta l’estate e, probabilmente, lo si farà fino all’inizio della discussione della prossima manovra di bilancio, con la fine dell’estate, e si continuerà a farlo mano a mano che la manovra stessa andrà prendendo forma. Quando infine il provvedimento caro a Salvini prenderà una qualche forma, lui potrà dire al suo popolo di renitenti al fisco che devono ricordarsi di lui, alle prossime elezioni Europee, che restano il vero obiettivo più o meno dichiarato di tutti. È speculare e contraria la spinta che porta le oppoeizioni, e il Pd di Elly Schlein in prima fila, a incalzare finalmente il governo su un tema di sostanza, cioè quello del salario minimo. Emerge l’idea che solo provando davvero a farsi sentire su ciò che riguarda i destini e le proeccupazioni della maggioranza dei concittadini si possa ricostruire un vero campo di azione politica, Vedremo quanto durerà, se sarà un episodio isolato, se è l’inizio di un lavoro per ricominciare a far sentire il vero senso della partecipazione democratica ai meno abbianti, ma è un buon segno che come tale va registrato.

Tra le dinamiche di lungo periodo, che continuano a circoscrivere l’attuale azione di governo, in prima fila resta il destino del PNRR che, per una parte importante, coincide anche col destino del paese. Ci sono poche settimane per rimodulare gli obiettivi che il paese si pone da qui al 2026. Se le modifiche saranno accettate e supereranno il vaglio europeo il nostro paese accederà alla pienezza dei fondi che le sono stati assegnati. Da questo ulteriore “tagliando” dipendono poco meno di un centinaio di milioni di euro. Tanti soldi, e una maggior integrazione europea in prospettiva: a volerle è stato Conte, a prosegueio il percorso è stato Draghi, a concluderloi – se succederà – sarà Meloni. Quel che colpisce, pur senza sorprendere, è che alla fine del percorso difficilmente si aprirà un ragionamento aperto e franco su cosa, nelle diverse fasi, poteva essere fatto meglio. su chi aveva commesso errori – sicuramente in buona fede, ma da evitare in futuro. E su cosa, soprattutto, manca strutturalmente al nostro paese in termini di capitale umano e infrastrutture materiali e di conoscenze diffuse nelle istituzioni per partecipare in maniera virtuosa e vantaggiosa a certi processi. Sarebbe esattamente quello che serve, ma la propaganda di breve vince sempre sulla coscienza di lungo periodo, e questa volta non farà eccezioni. Vedremo se andrà meglio il dibattito sulla riforma della giustizia, e di alcuni reati previsti dal nostro codice penale in particolare. Mattarella ha firmato il ddl della riforma Nordio, ma non ha mancato di far arrivare al tavolo della politica – anche attraverso i giornali – le proprie perplessità sul tema. Non vuole scontri con l’Europa nè con la magistratura. Si discuterà in maniera seria dell’abolizione o riforma dell’abuso d’ufficio e del traffico d’influenze? Non resta che sperarlo.

Una speranza ben riposta è stata quella di chi sognava di vedere finalmente Patrick Zaki libero. Il ricercatore e attivista egiziano, che studiava a Bologna ma è stato arrestato nel suo paese per propaganda sovversiva, dopo la condanna definitiva ha ottenuto la grazia da Al Sisi. È certo frutto del lavoro diplomatico diretto e indiretto del governo italiano. In maniera pienamente legittima Zaki ha rifiutato di rientrare con aereo di stato. e in questo modo si è sottratto alla ovvia e tuttavia naturale voglia del governo di mostrarlo come un uomo libero grazie alla propria azione di mediazione. È legittimo che Zaki l’abbia fatto. Facendolo, tuttavia, ha fatto quel che serve a rinfocolare le opposte tifoserie. Quelle della sua parte di mondo, popolata di attivisti antagonisti, che probabilmente non gli avrebbero facilmente “perdonato” una foto con Giorgia Meloni, e quelli del vecchio mondo rancoroso e conservatore che – anche questo si trova sulle pagine dei giornali – gli contesta di essere il solito comunista. Insomma, tutti esattamente dov’eravamo, con le nostre certezze. E invece, mai come oggi, ci sarebbe bisogno di scelte che cambiano gli equilibri e mettono in crisi convinzioni, convenzioni, e pregiudizi.

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CAT: Partiti e politici

Un commento

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  1. paolo-fusi 9 mesi fa

    Grazie. Un’analisi che condivido al 100%

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