Che cosa faranno gli elettori di Sanders?

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6 Novembre 2016

Aveva promesso una rivoluzione politica. E in parte era quasi riuscito a farla. Indipendente e radicale, aveva deciso di candidarsi alle primarie democratiche, in aspra polemica con lo stesso establishment del Partito dell’Asino. Anzi, per distinguersi, aveva addirittura rifiutato di essere etichettato come “democratico”, preferendo la definizione di “socialista”: un termine che fino ad oggi negli Stati Uniti equivaleva più o meno a una parolaccia con cui designare pericolosi estremisti dalle tendenze tiranniche. Quasi nessuno aveva scommesso all’inizio sul suo successo. Si credeva che la corazzata politico-economica della dinastia Clinton non avrebbe avuto difficoltà a spazzare via questa barchetta velleitaria e fanatica. Previsione sbagliata. Bernie Sanders si è rivelato un osso più duro del previsto, inanellando una serie di vittorie in Stati di notevole importanza (dal New Hampshire al Michigan) e raccogliendo migliaia di sostenitori ai suoi comizi elettorali in giro per l’America.

Ha lottato come un leone, contro un establishment partitico che gli ha messo costantemente i bastoni tra le ruote e non sempre attraverso tecniche esattamente all’insegna del fair play (visto che sulle primarie democratiche dello Stato di New York aleggia ancora il sospetto di brogli). Senza poi dimenticare, che la sua retorica avversa allo strapotere finanziario e ai trattati internazionali di libero scambio, avesse un unico, definito, antagonista: Hillary Clinton. Il nemico giurato dell’elettorato sandersiano che ha sempre visto l’ex first lady come principale rappresentante di un sistema politico e finanziario, considerato  – a torto o a ragione – corrotto e iniquo. Anche per questo, l’endorsement dato all’ex first lady dal senatore del Vermont non è stato salutato con particolare giubilo dall’elettorato di quest’ultimo: un elettorato che si è letteralmente spaccato e che è in buona parte insorto contro una decisione giudicata incomprensibile e ai limiti del tradimento.

Contrariamente alla leadership molto personalistica di Trump, il carisma di Sanders si è difatti principalmente fondato sul principio della fedeltà a un’idea, sulla devozione totale e convinta a una causa. In tal senso, il vecchio senatore è riuscito a creare un movimento motivato e potenzialmente capace di camminare con le proprie gambe, trascendendo in un certo qual modo la sua stessa figura. Anche per questo, i suoi numerosi appelli al proprio elettorato a votare per Hillary negli ultimissimi mesi sono in gran parte caduti nel vuoto: quello che una quota cospicua dei “sandersiani” vuole è difatti il picconamento del sistema, indipendentemente dall’attuale volontà del suo vecchio leader. In tal senso, agli occhi di molti sandersiani, Bernie è ormai uno strumento inservibile per il prosieguo della rivoluzione politica da lui stesso auspicata. Da megafono centrale della protesta e della lotta, si è trasformato in guscio vuoto. E la medesima promessa del senatore di far sentire la propria voce al Congresso, oltre che in una eventuale amministrazione Clinton, viene da moltissimi giudicata come un inutile palliativo, rispetto alla prospettiva rivoluzionaria gagliardamente avanzata nel periodo delle primarie.

Proprio per questo, in una situazione di scoramento generale, è allora lecito domandarsi dove decideranno di dirigersi i voti degli elettori sandersiani. Anche perché, non dimentichiamolo, non soltanto in termini numerici assoluti erano (e sono) tutt’altro che irrilevanti. Ma anche perché sono stati soprattutto i giovani a seguire l’arzillo senatore nella sua cavalcata politica. Nonostante una strutturale difficoltà a sfondare nel voto delle minoranze etniche, Sanders è difatti riuscito a conquistare il sostegno dei millennial, riuscendo – sotto questo aspetto – a replicare il successo mietuto da Barack Obama nel 2008. A maggior ragione è quindi necessario interrogarsi sulla direzione che prenderà il voto sandersiano il prossimo 8 novembre. Un’incognita di fondamentale importanza. Un sondaggio estivo condotto dal Pew Research Center sosteneva che il 90% degli elettori di Sanders voterebbe l’ex first lady. Sarà realmente così?

Guardando con attenzione questi ultimi mesi di campagna elettorale, è abbastanza chiaro che Hillary Clinton non sia stata particolarmente attratta dall’idea di accattivarsi i voti della sinistra democratica. Dopo essere infatti difficoltosamente riuscita a conquistare la nomination, ha scelto come proprio vice il senatore virginiano Tim Kaine. Democratico centrista, fautore dei trattati internazionali di libero scambio e discretamente falco in politica estera: non esattamente un profilo in linea con l’elettorato sandersiano, che – infatti – non sembra aver granché gradito. Anche perché molti a sinistra speravano che la scelta dell’ex first lady sarebbe ricaduta sulla senatrice anti-Wall Street, Elizabeth Warren. Il punto è che la strategia elettorale di Hillary mira a replicare quella adottata vittoriosamente dal marito, Bill, nel 1992: puntare al centro (tanto democratico quanto repubblicano), isolando le ali radicali. Anche per questo, non è un caso che Donald Trump faccia spesso riferimento all’elettorato sandersiano, evidenziando le consonanze tra il proprio programma e quello del senatore del Vermont. Nonostante alcuni punti di profondo attrito (dai temi eticamente sensibili alla politica fiscale), alcune delle proposte politiche del miliardario risultano particolarmente affini a quelle di Sanders: entrambi sostengono una prospettiva economica duramente protezionista ed entrambi appoggiano un’idea di politica estera tendente all’isolazionismo. Sotto questo aspetto, il paradosso maggiore si è avuto durante l’ultimo confronto televisivo tra i due candidati: quando Hillary citava a proprio sostegno la figura di un autentico mito del Partito Repubblicano come Ronald Reagan, mentre Trump, dal canto suo, quella di un socialista come Bernie Sanders. Segno di come l’attuale divisione in seno all’agone politico statunitense sia ormai trasversale ai due principali partiti.

Proprio in tal senso, appare onestamente difficile che il voto sandersiano possa dirigersi in massa a sostegno di Hillary Clinton. E d’altronde, non sarà un caso che alcuni recentissimi sondaggi mostrino come l’ex first lady risulti in grande difficoltà con il voto giovanile. L’incognita tuttavia resta. Se gli elettori del senatore del Vermont non andranno in maggioranza verso Hillary, dove si dirigeranno? Una parte cospicua non è escluso possa decidere di astenersi: non bisogna dimenticare difatti l’alto tasso di idealismo che – da sempre – contraddistingue una parte dell’elettorato statunitense (a destra come a sinistra) e che, in questo caso, potrebbe spingere diversi votanti di sinistra a non recarsi alle urne oppure a puntare su una candidatura minore come quella di Jill Stein, leader del Green Party. Tuttavia, proprio in forza di quanto abbiamo visto, non è assolutamente da escludere che una larga fetta dei sandersiani delusi possa alla fine turarsi il naso e votare per Donald Trump: soprattutto nelle aree maggiormente martoriate dalla crisi economica (come la Rust Belt). Perché, al di là dell’affinità su alcuni singoli (e importanti) punti programmatici, quello che accomuna paradossalmente Sanders e il magnate è la visione di fondo: una visione pessimistica, arrabbiata, apocalittica. Una visione che vuole picconare un sistema, giudicato – a torto o a ragione – marcio e corrotto. In questo senso, Trump può riuscire a proporsi come efficace catalizzatore della protesta: perché al di là dei suoi fedelissimi, una parte dell’elettorato potrebbe scegliere di votarlo con il solo obiettivo di distruggere Hillary Clinton (con tutto ciò che costei rappresenta). D’altronde, i sandersiani lo hanno sempre detto: bisogna abbattere lo status quo. E, per raggiungere questo obiettivo, ogni strumento può essere utile. Anche un istrione collerico foderato di quattrini. Un ragionamento machiavellico che tuttavia molti cittadini, delusi e battaglieri, potrebbero alla fine accettare. Perché, soprattutto nei momenti di crisi, la rabbia in politica può rivelarsi una molla molto potente. Assai rischiosa da sottovalutare.

TAG: Bernie Sanders, Donald Trump, Hillary Clinton
CAT: America

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