Sara Gambelli: “Con la macchina fotografica comunico emozioni”

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19 Novembre 2016

La tecnica fotografica si può imparare. Si impara a leggere, si impara a scrivere, si impara a suonare la chitarra o la batteria, si impara a dipingere, a fare film e anche a fotografare. Quello che non si impara è la sensibilità, quella commistione di elementi che ti permette di allineare occhi, mani e personalità fino a generare una visione peculiare delle cose. Fino a generare arte, in tutte le sue forme. Sara Gambelli, ad esempio, è un’artista.

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I suoi scatti sono frutto di uno sguardo perspicace e generoso sulle persone, sugli animali, sul circostante, da una parte all’altra del globo, vicino o lontano che sia. Avvicinarsi alla sua rappresentazione della realtà vuol dire penetrare in un universo cangiante. Il viaggio, la meraviglia della scoperta e dell’incontro con l’altro coesistono, all’occorrenza, con una ricerca fotografica meno pretenziosa ma non per questa incolore o spersonalizzata. Sara è un’umanista, una fotografa che scruta gli esseri viventi, ponendosi con incanto e delicatezza.

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Sara, quando hai iniziato a fotografare?

A sei anni mi hanno regalato la mia prima macchina fotografica. Era più simile a un giocattolo in realtà, ma credo che in qualche modo abbia influenzato e affinato il mio modo di guardare il mondo attraverso un mirino. La cosa buffa è che da piccola detestavo la presenza dell’essere umano all’interno dell’inquadratura. Mi piacevano le foto di paesaggio, solitarie. In qualche modo ero afflitta da una sorta di misantropia fotografica. Poi con il tempo e grazie al mio percorso di studi (l’antropologia) ho imparato ad apprezzare e ad amare l’essere umano, come produttore e artefice delle proprie scelte.

Dagli eventi alla street photography comunichi sempre il tuo stile, realista e sognante insieme, a volte fuori dal tempo. Come descriveresti il tuo sguardo e come l’hai affinato nel tempo?

Fuori dal tempo. Questa definizione è dettata dalla mia predilezione per il bianco e nero, immagino. Il mio alter ego di antropologa ci tiene a precisare che miei soggetti sono reali e attuali. Sono persone inserite in un contesto geografico e culturale ben definito. Tuttavia fotografare significa sottrarre allo scorrere del tempo un frammento di vita, congelare per sempre un istante. E questa possibilità che la fotografia ci offre quotidianamente è pura poesia. Una poesia che – per quanto mi riguarda – trova la sua più alta espressione nel bianco e nero per la sua capacità di essenzializzare, di facilitare la lettura di un’immagine grazie alla potenza e alla intensità visiva. Non rinnego il colore eppure, spesso, lo considero una distrazione.

Una parte consistente delle tue fotografie racconta di popoli diversi da noi, di terre bellissime, di culture che potrebbero aiutarci a vivere meglio. Cosa vuol dire per te viaggiare insieme alla tua macchina fotografica?

Cosa significa per me viaggiare. Vorrei spiegarti prima questo. La mia anima è apolide, mi piace vagabondare. Errare nella nostra lingua significa sia vagabondare che sbagliare: ciò dimostra come il potere di definire l’altro sia detenuto dai sedentari, che da sempre guardano con sospetto i viandanti. Il mio occhio vuole essere nomade per abbattere i confini, le frontiere, in primo luogo mentali. Detto questo, mi piacerebbe viaggiare molto di più, anche se sono convinta che non sia necessario andare dall’altra parte del mondo per raccontare una storia interessante. La verità è che non ho mai perso la capacità di stupirmi e la macchina fotografica è il mezzo che ho scelto per trasmettere e condividere le mie emozioni.

Chi sono i fotografi che ti ispirano?

Josef Koudelka, Elliott Erwitt, Henri Cartier-Bresson, Diane Arbus e Sebastião Salgado. Per citare i grandi maestri. Anche se la maggior parte delle volte mi capita di commuovermi di fronte a foto di perfetti sconosciuti.

La foto che non scatteresti mai?

Una foto che in qualche modo possa privare i miei soggetti della dignità. Per questo mi piace fotografare persone libere. Libertà è bellezza, oltre che un diritto. Una persona libera, o che aspiri ad esserlo, ha una luce diversa negli occhi: è la luce della dignità, che può manifestarsi in ogni luogo e nelle scelte più disparate. Musicisti, artigiani, artisti, gente che si mette quotidianamente alla prova in un sistema che non sempre premia il talento e la passione sono soggetti che attirano istintivamente la mia attenzione e ai quali intendo rendere omaggio attraverso i miei scatti.

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Sara Gambelli: residente a Germignaga, è antropologa di formazione e fotografa free lance prima di tutto per passione. Oltre ai servizi matrimoniali, di pet photography e di new born photography, da cinque anni porta avanti un progetto legato al Pellegrinaggio di Saintes- Maries-de-la-Mer, in Camargue. Spirito Gitano è il frutto di questo lavoro, volutamente in bianco e nero per sottolineare la storia di questo popolo che affonda le proprie origini in tempi e luoghi lontanissimi. Un popolo per molti ancora misterioso e verso il quale troppo spesso si nutre diffidenza. Un viaggio fotografico che va oltre il preconcetto e che si apre a un mondo a cavallo tra il sacro e il profano, fatto di gesti quotidiani e usanze antiche: la conoscenza e la condivisione come superamento di uno stigma, momenti immortalati per ricordarci che l’origine e la diversità possono essere convenzioni, oltre le quali troviamo semplicemente esseri umani. Gli scatti di Sara sono qui su Flickr.

TAG: fotografi Germignaga, sara gambelli
CAT: Fotografia

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