Hate speech e commenti critici. Occorre comunicare, non persuadere
Questo articolo è dedicato a chi gestisce Pagine Facebook e profili social di organizzazioni politiche e associazioni di volontariato il cui obiettivo non è promuovere la vendita di un prodotto o di un servizio, ma favorire la relazione e il confronto con i simpatizzanti e gli attivisti e aggregare consenso attorno alla propria causa.
Tutti coloro che si impegnano nella politica e nel sociale sanno bene quanto, fra i propri liker e follower, vi siano anche coloro che possono definirsi gli avversari di tale causa per essere aggiornati in merito alle iniziative che vengono portate avanti e per contro-argomentarne le ragioni. Lo stesso Michael Bloomberg, ex-sindaco apprezzato di New York, confessò di essere stato spinto a scelte amministrative di breve periodo e ad atteggiamenti di “populismo digitale” (termine ante-litteram, oggi si potrebbe dire) proprio per non incorrere nella perdita di consenso dettata dal formarsi dello stesso sui social media ed evidentemente tale consenso nasce da una buona gestione dei commenti negativi.
I recenti avvenimenti, anche del terremoto in Centro Italia, hanno dimostrato quanto i social media ospitino, per le bolle informative che sovra-rappresentano l’opinione di chi la pensa come noi e per l’effetto “camera dell’eco” che fortifica tale opinione, interpretazioni e valutazioni dei fatti che forse non sarebbero state condivise in una relazione interpersonale rendendo tali ambienti più simili ad una curva da stadio che ad una piazza o ad un bar, contesti sociali a cui tradizionalmente sono stati accostati.
Per proteggere la presenza online di una organizzazione o di una associazione è pertanto necessario pianificare una vera e propria strategia che, sul piano organizzativo prima ancora che comunicativo, parta dagli ambiti per i quali le persone lasciano commenti online e procedere ad un suo sviluppo saldo sul piano gestionale e autentico sul piano dei valori.
In primo luogo è necessario creare le condizioni per favorire l’espressione dei propri attivisti e simpatizzanti, i soggetti che rappresentano la “maggioranza silenziosa” di tale movimento, comunicando adeguatamente quanto viene fatto online e creando le condizioni organizzative (gruppi WhatsApp e Facebook, mailing list) a supporto dell’animazione della presenza social, della veicolazione dei suoi contenuti, della creazione dei contenuti e quindi anche della gestione dei casi di crisi. Se non si attiva la “maggioranza silenziosa“, sarà solo la “minoranza chiassosa” a rappresentare la propria voce online.
Come gestire però un commento critico nel momento in cui arriva?
È evidente che questa attenzione richiede risorse e competenze non mutuabili dalla tradizionale attività di gestione di un evento pubblico “fisico”: quando si tratta di commenti online infatti, le persone coinvolte su questo fronte debbono avere capacità di comunicazione pronunciate e le cautele tipiche di chi sa gestire una conversazione da remoto e asincrona.
Dopodiché è diversa la modalità con cui potranno essere gestiti i commenti a seconda che questi:
- provengano da simpatizzanti/elettori o potenziali tali;
- vengano fatti da haters e troll ovvero da utenti che, per ragioni più o meno giustificabili, attaccano l’organizzazione in modo strumentale e senza alcun intento costruttivo.
Haters e troll non sono la stessa cosa: mentre il troll è spesso un account anonimo e creato ad-hoc per contrastare la presenza social dell’avversario, l’hater è una figura reale e, anche per trascorsi di delusione con l’organizzazione e, ne contesta radicalmente i valori e l’operato.
Nel caso in cui la gestione social di un’organizzazione si veda compromessa a causa di continui attacchi da parte dei simpatizzanti o da parte di normali cittadini, è evidente quanto sia importante, se possibile, rimediare alla situazione scusandosi o comunque prendendosi la dovute attenzioni per spiegare la criticità che ha avuto luogo, sempre mantenendo la conversazione sul social network in cui si è prodotta, con l’intento di comunicare anche a tutti gli altri lettori che dovessero seguirla quanto ci si sia presi a cuore la problematica per definirne i contorni e risolverla.
Sarà utile in questo definire, a bocce ferme e a sangue freddo, un protocollo che aiuti chi gestisce la presenza sui social media a relazionarsi al meglio con l’organizzazione per reperire le informazioni necessarie, così da comunicarle con tempestività e cortesia e dimostrare in tal modo che tutti possono sbagliare, ma che si sta facendo il possibile per rimediare all’errore commesso.
Nel caso in cui invece le lamentele vengano pubblicate da troll o da haters è necessario distinguere fra rilievi di carattere puntuale ed attacchi di carattere generale: di fronte a rilievi puntuali, per proteggere la reputazione online, è utile cercare di spostare la conversazione fuori dal contesto pubblico, cercando di stemperare la tensione che si è prodotta e facendo leva sul fattore tempo, per poi rimediare nel merito la criticità che è stata segnalata.
Di fronte infine ad attacchi generali da parte di troll ed haters, è meglio non rispondere puntualmente e comunicare esclusivamente con il target: come si suol dire, infatti, “Don’t feed the trolls“. Tali soggetti non sono lì per essere persuasi: è quindi utile capire che l’attività sul social network deve tendere, soprattutto in quei momenti a non relazionarsi con tali utenti, ma a sottolineare valori e scelte che debbono a maggior ragione indirizzate al target dell’attività online.
Che strumenti è possibile utilizzare per tenere sotto controllo i commenti?
È evidente che se le criticità vengono pubblicate sul blog o sui profili social dell’azienda, l’attenta osservazione delle domande e delle menzioni dovrà essere sviluppata direttamente dalle piattaforme o anche grazie a tool di efficienza come Hootsuite o Tweetdeck: del resto, Facebook ha recentemente migliorato la propria interfacia con le “risposte salvate”.
Nel momento in cui i feedback vengono invece pubblicati in ambienti esterni ai profili social proprietari, per non perderli di vista, si può ricorrere a molti strumenti gratuiti come:
– Google News Alert, valido per intercettare chi menziona l’associazione in siti, directory e blog ovvero nel Web aperto e indicizzabile da Google;
– Facebook Graph Search ovvero il box di ricerca di Facebook nel caso in cui si configuri, dal proprio profilo personale, la lingua dall’Italiano all'”English (US)”: immediatamente dopo tale cambiamento, sarà infatti possibile digitare le chiavi di ricerca nel box per poter intercettare post pubblici, da parte di utenti, di altre Pagine e di altri Gruppi che tagghino o anche semplicemente menzionino il termine che è stato cercato;
– tool specifici per le diverse piattaforme come Tagboard per Instagram, Socialblade per Youtube, Tweetreach e Tweechup per Twitter;
– altri strumenti di a pagamento come Talkwalker e Radian6.
Un’ultima osservazione: qualunque situazione di crisi sui social media nasce da criticità già ben conosciute da parte delle organizzazioni e del resto qualunque realtà è ben conscia dei propri limiti e delle proprie debolezze ed è per questo che fronteggiare i commenti critici online con una organizzazione che ha precedentemente cercato di inviduare le fattispecie per le quali arriveranno gli attacchi e le opportune risposte che dovranno essere date.
Occorre dunque pensarci bene prima di aprire un profilo social, ma, dopo averlo fatto, occorre pensarci tanto per renderlo uno strumento utile e non un boomerang per la attività, spesso volontaria, delle associazioni.
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