Pm, archiviare Cappato. “Aiutò Dj Fabo a esercizio diritto alla dignità”.
Per i pm milanesi che hanno chiesto l’archiviazione di Marco Cappato in relazione alla morte di Dj Fabo nella clinica svizzera ‘Dignitas’ il diritto – dovere alla vita non è un monolite inscalfibile ma va bilanciato con altri diritti fondamentali, come quello alla dignità. In questa prospettiva, un atto in teoria antigiuridico, come aiutare una persona a suicidarsi , perde il suo carattere di anti giuridicità a determinate condizioni, se viene effettuato per agevolare l’esercizio del diritto alla dignità e quello di non subire trattamenti sanitari obbligatoria (articolo 32 della Costituzione). Condizioni che sono costituite, nel ragionamento dei pm, dall’esistenza di una documentata malattia con una prognosi infausta e da gravi sofferenze che non si possono alleviare.
Spiegano i pm: Fabiano Antoniani non poteva suicidarsi perché era cieco e paralizzato e se avesse deciso di togliere i supporti respiratori che lo mantenavano in vita sarebbe morto dopo giorni di agonia e sofferenza contrari all’umana dignità.
“Pratiche di suicidio assistito – scrivono i pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini – non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile e/o indegna dal malato stesso. Non pare peregrino affermare che la giurisprudenza anche di rango costituzionale e sovranazionale ha inteso affiancare al principio del diritto alla vita tout court il diritto alla dignità della vita inteso come sinbonimo dell’umana dignità”.
Nella richiesta di archiviazione, che verrà valutata da un gip nei prossimi giorni, si fa osservare che Cappato ha svolto ‘solo’ una “condotta di trasporto” aiutando Dj Fabo a raggiungere la Svizzera. Una condotta che comunque potrebbe rientrare nell’ampia formulazione dell’agevolazione al suicidio richiesta dall’articolo 580 del codice penale, ma per i pm non c’è reato perché il tesoriere dell’associazione ‘Coscioni’ ha agito per aiutare Dj Fabo nell’esercizio di un suo diritto.
Nel complesso ragionamento lungo una quindicina di pagine, i magistrati evidenziano che il “diritto alla vita va esteso al diritto alla dignità alla vita”. E per dare forza alle loro tesi ricostruiscono l’iter delle sentenze che, a loro dire, ha aperto dei ‘margini’ sulle pratiche del fine – vita. In particolare, viene dato spazio al caso di Eluana Englaro, la giovane a cui venne ‘staccata la spina’ dopo 17 anni di agonia, nell’ambito del quale è stato sancita dal Tribunale di Milano la possibilità di non accettare le cure anche se ti portano alla morte, qualora siano contrarie alla dignità. Centrale nella tesi dei pm è il concetto che dignità significa anche autodeterminarsi nelle scelte sulla propria salute. I magistrati citano poi una setenza del gup di Roma sulla vicenda di Piergiorgio Welby che definì un diritto soggettivo quello di rifiutare le terapie anche se questo può portare allla propria morte. Ampio risalto viene dato anche ad alcune pronunce della Corte Costituzionale che pongono un limite alle cure nel rispetto “dell’insieme dei valori che si compendiano nel concetto di dignità umana”. Valorizzate anche alcune sentenze della CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) dalle quali emerge che il suicidio assistito non costituisce una violazione del diritto alla vita quando ci siano situazioni oggettive di malattia incurabile e di gravi sofferenze del malato. Dunque, per i pm, sempre con riferimento a questa giurisprudenza, non esisterebbe un diritto al suicidio assistito che si declina una volta per tutte ma che va valutato solo in presenza di determinate condizioni che, suggeriscono i magistrati, il legislatore potrebbe indentificare.
Manuela D’Alessandro
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