Le spese pazze delle Marche: gli eccessi dei politici e quelli dei pm

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12 Febbraio 2015

La notizia è piombata nelle redazioni locali nel pomeriggio di mercoledì 11 febbraio e già in serata online si poteva trovare tutto il necessario per scatenare una bella ondata di indignazione popolare. La procura di Ancona ha chiuso le indagini sulle cosiddette «spese pazze» del consiglio regionale marchigiano: un’inchiesta che va avanti da due anni e mezzo e che, alla fine, ha prodotto un totale di sessantasei indagati per peculato in concorso e truffa. A scorrere gli atti si leggono i nomi di tutti i vari notabili marchigiani che tra il 2008 e il 2012 erano in Regione. Personaggi parecchio noti, tra Pesaro e Ascoli Piceno, accusati, in buona sostanza, di aver usato i fondi dei propri gruppi consiliari per spese che poco avevano a che fare con l’attività degli stessi, almeno a giudizio della procura.

La notizia è indubbiamente ghiotta, il caos è generalizzato: la notifica degli avvisi di fine indagine sta avvenendo proprio in queste ore e, al di là di quello che poi accadrà o non accadrà, la schiera di politici locali finiti sotto inchiesta sta vivendo una giornata di puro terrore. Sui social network, intanto, va in scena la classica fiera dell’indignazione a oltranza, seguendo lo schema del «noi e loro», dove «noi» è il popolo vessato e «loro» la casta che tutto può e di tutti se ne frega.

Adesso, al netto dei nomi più o meno pesanti e del solito di scorso in base al quale l’essere iscritti nel registro degli indagati dovrebbe essere uno strumento di garanzia e non l’anticamera della damnatio memoriae, il faldone uscito fuori – e ci sarebbe da chiedersi come – dalla procura di Ancona è un documento utilissimo da studiare per capire l’aria che tira sulla complicata scacchiera dei rapporti tra politica politicante e magistratura inquirente: mettendo da parte i pregiudizi ideologici che ognuno può nutrire nei confronti dell’una o dell’altra categoria, le carte restituiscono un affresco piuttosto desolante sia del malcostume della politica sia anche di un certo modo un po’ pretestuoso di porre le questioni da parte delle toghe.

Cominciamo con il dire che le leggi che dovrebbero regolare l’uso che si fa di questi soldi pubblici sono piuttosto vaghe, e non si capisce bene quali siano i limiti tra le attività politiche e quelle personali di ciascun politico coinvolto. Cioè, spesso sembra che la procura contesti ai gruppi di aver utilizzato i soldi a loro destinati per fini politici. Questo è il caso dei fondi spesi per manifesti, francobolli, incontri, acquisto di pacchetti di sms, ricariche per cellulari, domini di siti internet e altre cose del genere. Attenzione: non si fa cenno a presunti abusi, conti gonfiati, furti veri e propri mascherati da spese ordinarie, ma proprio al fatto in sé, come se i gruppi non potessero spendere soldi per un incontro di natura prettamente politica, per quanto magari di basso livello. Stesso discorso si potrebbe fare sulle cene sociali con decine di invitati: è una cosa un po’ deprimente, ma ci sono tanti uomini politici che da almeno trent’anni non fanno una cena che, in un modo o nell’altro, non sia un’attività politica.

In sostanza, si accusano i politici di essere politicizzati. Con tutto il disprezzo che si può nutrire per la categoria: la politica è (anche) questo, soprattutto in un contesto come quello regionale, dove il voto di preferenza è tutto e ogni consigliere gioca la sua carriera sulla propria capacità di tenere buono il proprio pacchetto di consensi. Triste? Probabilmente sì. Illegale? Forse no.

Poi ci sono tutte le altre cose che, se la loro rilevanza penale può anche essere considerata risibile, forniscono una radiografia tristissima della qualità politica dei consiglieri regionali marchigiani coinvolti nell’inchiesta. Quello che si fa rimborsare 15 euro di parcheggio non fa certamente una bella figura. Così come quell’altro che con i soldi del suo gruppo va alla Feltrinelli e compra un libro sull’orgasmo femminile perché fa parte della commissione sulle pari opportunità.  Poi ci sono pure quelli che fanno comprare decine di copie di libroni rilegati e costosissimi su argomenti improbabili, quelli che si fanno confezionare cesti di Natale, quelli che si fanno rimborsare viaggi che non avrebbero mai fatto, quelli che che chiedono indietro i soldi per le sigarette. Tutto vero, tutto agli atti.

Il problema, per farla breve, riguarda l’esiguità delle cifre: si va dalle poche decine al migliaio di euro. Somme che, insomma, per persone che guadagnano stipendi vicini ai 10mila euro mensili dovrebbero essere spiccioli, o almeno ci facessero il piacere di non rompere e pagare il conto con il proprio portafoglio, ché non esistono molti lavoratori al mondo che il lunedì mattina vanno dal proprio datore di lavoro e gli presentano la fattura della pizza del sabato sera.

Non ci sono spese veramente «pazze» in Regione, solo la sensazione di trovarsi di fronte a un malcostume diffusissimo e che molti potrebbero considerare, giustamente, fastidioso. Ma siamo sicuri che debba essere la magistratura a censurare certi comportamenti? Infine, di questi 66 indagati, quanti arriveranno a un processo? E quanti verranno assolti? Quanti di quelli che vengono già crocifissi sulle pubbliche piazze virtuali ne usciranno puliti perché le loro spese «non adeguatamente giustificate» verranno ritenute del tutto legittime?

Sarebbe insomma auspicabile che si riesca ancora a distinguere il concetto di malcostume da quello di reato.

(N.B. Una piccola nota di metodo: qui si è scelto di non mettere i nomi degli indagati sostanzialmente per tre motivi: il primo è che sono reperibili tramite una breve ricerca su Google, il secondo che questi nomi non direbbero nulla alla stragrande maggioranza di quelli che non vivono nelle Marche e il terzo che si è preferito privilegiare il concetto generale sulla caccia all’uomo, che pure è già partita altrove)

TAG: giustizia, Marche, partiti
CAT: Partiti e politici

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