Lettera a Francesca

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18 Maggio 2018

Oggi, su “Libero”, Vittorio Feltri, con un autorevole articolo (Tortora in galera che mostruosità. Giustizia a pezzi) ha ricordato il crimine giudiziario che subì Enzo Tortora, per il quale ricorre il trentennale della morte.
Feltri era l’inviato speciale del “Corriere della Sera” di Piero Ostellino, direttore garantista e di fervidi principi liberali e fece da cronista per il giornale di via Solferino durante il processo.
L’articolo di Feltri è un “pezzo” già uscito sul settimanale “Domenica del Corriere” del 5 ottobre 1985.
È un articolo bellissimo che ripercorre il martirio giudiziario di Tortora che quando morì portò con se nella tomba una copia del libro di Manzoni, Storia della Colonna infame.
Tutti, la moltitudine, gridarono alla sua colpevolezza, mentre invece risultò innocente in assoluta purezza.
Lo ricordiamo con stralci delle sue bellissime lettere scritte, in un italiano purissimo, dal carcere alla sua amata Francesca.
Mia cara Francesca, ora è passato il colpo di pugnale, atroce, impensabile (e premeditato) mi ha sconvolto per un giorno intero…L’enormità delle accuse ( che comunque infrangono) è accompagnata da una mostruosità procedurale, addirittura inconcepibile… Ciò che a loro preme, a loro urge, a loro è indispensabile, è costruirmi delinquente…..
Comincia a far freddo in cella; chiusi si sente ancora di più. Sono come svuotato, credimi ed ormai indifferente a quello che di nuovo, di infame, hanno detto…Hanno un potere tremendo, inumano, impensabile, in democrazia.
Solo tre categorie di persone non rispondono dei loro crimini: i bambini, i pazzi ed i magistrati. Io sono la ragione stessa della loro immensa e credo stolida retata nazista. Prima le manette e poi le prove. Principio barbaro medioevale…
Non c’è scuola più dura e più lucida della galera…Si vede che il mio destino era questo: soffrire oltre l’indicibile.. Ma vedi oltre l’inferno (quando l’hai davvero attraversato), neppure le fiamme nuove ti bruciano più…
Ho dentro la forza dell’acciaio…Sai non mi sorprende che anche Dostoevskij definisca la galera come l’ho trovata io: una vita monotona, come il gocciolare in una fosca giornata autunnale..
Tante volte ho pensato almeno fossi colpevole: starei meglio. E’ un atroce paradosso. Perché niente, niente, Cicciotta, è paragonabile all’angoscia di chi vive, innocente, questa condizione.
Ho conosciuto fascisti, nazisti, la guerra. Eppure ti giuro erano cose comprensibili, avevano un fondo razionale e atroce. Qui c’è solo l’atroce…
Mi sento misteriosamente intatto. E’ il tempo amore che si allunga a dismisura. E ormai non è più vivere, convincetene: ma per me solo morire a rate.
Voglio essere in piedi per l’ultimo atto. Anche se lo vado dicendo da tempo tenteranno ogni mezzo. Anche di farmi fuori… E’ una lotta all’ultimo sangue.. tra quattro farabutti, che non possono perdere ed un innocente che deve vincere. Ma il potere è loro. Siamo al nazismo puro, alla barbarie assoluta”.
Amava la sua Francesca Enzo Tortora, perché le scriveva: “se vedrò i tuoi occhi, confonderò il tramonto con il mattino. Amo le nostre domeniche non riesco più a dirti quanto. Ora dammi la mano e metti il tuo capo sulla mia spalla. Stiamocene un po’ così tu ed io che non abbiamo bisogno d’altro, così fino a domani…
Fammi un regalo: cammina in mezzo al verde. Raccogli un filo d’erba e mettilo tra le labbra: sono io”.

TAG: tortora
CAT: Storia

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