Aggiustare le cose

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26 Luglio 2019

 

Pioveva forte quando ho lasciato l’ufficio e non avevo l’ombrello. Mi ero messa al riparo dal diluvio, infilandomi in una libreria del centro e girellavo abbastanza serenamente tra gli scaffali.

Mi piace passare il tempo libero in libreria. Anche i più ottusi tra i librai hanno capito che non devono romperti le scatole chiedendoti cosa ti serve.

Ad un appassionato di libri non serve niente.

Gli basta starsene lì, tirando fuori ogni tanto un libro dallo scaffale, per poi annusarlo, accarezzarlo con le mani e con gli occhi, leggere qualche frase qua e là.
Qualche volta scatta l’innamoramento. O meglio la possibilità di un innamoramento.

Mi sembra di capire, leggendo le battute iniziali di un libro, che mi sarà facile ascoltarne la musica, entrare in sintonia con le vibrazioni che è stato programmato ad irradiare. Oppure che la sua storia, per quanto riportata in tono scialbo e banale e finanche irritante, è destinata a tener desta la mia attenzione.

Sento che quel libro può essere un compagno discreto e divertente e decido che deve essere mio.
In fondo da un libro, mi capita di riflettere, mi aspetto le stesse cose che mi aspetto da un uomo. Non apprezzo forse in maniera incondizionata proprio gli uomini che sanno essere discreti e divertenti? Non adoro forse l’amicizia che c’è tra noi due perché è divertente, ma discreta?

Peccato che gli uomini che hanno queste caratteristiche siano veramente pochi. Sono senz’altro molto più fortunata con i libri.
Ma torniamo a noi.

Me ne stavo in piedi tra due scaffali con in mano un volume della monumentale autobiografia di Casanova. Sono volumi piccoli e compatti, di circa millecinquecento pagine l’uno. Le pagine sono in carta indiana, leggerissima. La rilegatura è blu con piccole incisioni dorate e una strisciolina di seta rossa funge da segnalibro.
Come sempre accade in questi casi, non so resistere.

Mi sono guardata attorno, ho verificato che non ci fossero occhi indiscreti, ho ascoltato attentamente i rumori che provenivano dalla saletta attigua, ho controllato uno per uno per uno tutti gli scaffali, per accertarmi che non ci fossero telecamere nascoste, quindi mi sono infilata con decisione il volume nella tasca interna dell’impermeabile e mi sono avviata verso l’uscita.

Aveva smesso di piovere, ma, a questo punto, ero così agitata, che sarei uscita di lì con qualsiasi tempo.
E’ una vita che non compro più un libro.
Fino a qualche tempo fa per il semplice motivo che non potevo permettermelo. Non avevo i soldi per comprarli e ritenevo ingiusto essere privata di quello che ritengo il piacere più grande della mia vita.

Quando la mia situazione economica è migliorata mi è rimasto questo piccolo vizio inconfessabile ( e infatti lo confido solo a te, che mi leggi da chissà dove, ben protetta da questo schermo lattiginoso come dalla grata di un confessionale).

Mi è rimasto il vizio per due motivi.
Il primo è che ho finito per attaccarmi in maniera maniacale al piccolo, ma inarrivabile momento di brivido che provo ogni volta che esco da una libreria con la refurtiva, il secondo motivo è che non sono mai stata colta con le mani nel sacco.

In genere sto molto attenta.

Evito le librerie dove hanno l’abitudine di magnetizzare i libri oppure quelle dove tengono le telecamere. Non le frequento nemmeno per curiosare. L’istinto di impadronirmi di un libro che desidero è talmente forte che in quelle librerie soffrirei come un mendicante affamato davanti alle vetrine di una rosticceria.

Ti scandalizza quello che ti sto raccontando?
Turba il tuo buonsenso di persona inappuntabile ed equilibrata?
Spero di no, ma se è così non so cosa farci. L’unica cosa che posso dire come mia attenuante è che spesso quando un libro non si rivela all’altezza delle mie aspettative, cerco di riportarlo dove l’ho preso. Insomma in una grossa percentuale di casi più che un furto il mio è un prestito forzoso.
Ma torniamo a ieri pomeriggio.

Ero già sulla soglia della porta della libreria, quando una vocetta querula e raggelante mi ha bloccato dicendomi la frase che da almeno una decina d’anni sentivo affiorare nei miei incubi peggiori: “Dove crede di andare, signorina?”. 
Mi sono girata lentamente, cercando di pensare più in fretta che potevo a quale fosse la soluzione migliore per farla franca.

Purtroppo il mio viso, per l’imbarazzo e la paura, era diventato paonazzo e mi rendevo conto che questo agli occhi del proprietario della libreria era un irrimediabile indicatore di colpevolezza.

Ho cercato di farfugliare qualcosa, ma l’altro si era già impadronito del mio gomito e mi stava pilotando con fare deciso in una stanza del retrobottega.

Ero talmente impaurita che lo seguivo quasi in stato di trance.

Insomma, per fartela breve, quel verme aveva fatto installare delle piccole telecamere nelle salette della libreria. Evidentemente molto ben mimetizzate se io non ero riuscita a individuarle pur aguzzando la vista.
L’omino ha acceso uno schermo e con mio grande imbarazzo ero inquadrata in primissimo piano (mi chiedo ancora dove diavolo fosse sistemato quell’aggeggio) mentre mi guardavo attorno infilandomi il libro nella tasca interna dell’impermeabile.
Mentre osservavo impietrita le immagini che documentavano la mia poco encomiabile impresa con tanto di ora e data bene in vista sullo schermo in bianco e nero della ripresa televisiva, ho sentito lo scatto di un chiavistello.
Il libraio mi ha guardato con i suoi occhietti freddi e con voce beffarda mi ha detto : “Vediamo se riusciamo a risolverla tra noi questa cosa”.

“Senta”, gli ho risposto, “le pagherò il libro, ma la prego non mi denunci, è la prima volta che faccio una cosa del genere e non so nemmeno perché l’ho fatta …”

“La prima volta un corno!”, mi fa lui sempre gelido, “sarà almeno la quindicesima volta che la vedo entrare qui dentro senza comprare nemmeno un tascabile. Chissà quanti libri mi ha portato via e chissà quanti avrebbe continuato a rubarne se non avessi messo le telecamere”.

Mentre diceva così aveva cominciato a baloccarsi con il telefono, come se fosse in procinto di chiamare qualcuno.

Io naturalmente ero terrorizzata. Se il libraio avesse chiamato la polizia e mi avesse denunciato, avrei perso sicuramente il posto di lavoro e difficilmente sarei riuscita a trovarne un altro. Ti ho detto di essere una donna di scarsa fantasia, ma in quei momenti la mia immaginazione galoppava sfrenata, abbandonandosi alle più sconfortanti congetture.

Mi sono vista persa, ho pensato di aver distrutto la mia vita per un impulso momentaneo.
Nel frattempo il libraio mi stava dicendo qualcosa che, all’inizio, frastornata com’ero, non riuscivo a capire. La frase ricorrente nei suoi minacciosi farfugliamenti era : “Vediamo se riusciamo ad aggiustare la cosa tra noi”.
Ad un certo punto mi è sembrato di capire. Non sapevo se abbandonarmi al sollievo o al disgusto. Nel dubbio ho lasciato che si impadronissero di me entrambi.
“Chi mi assicura che oltre al libro prelevato sotto il naso della telecamera non ce ne sia qualcun altro sottratto in un punto della sala meno controllato?”

Insomma per fartela breve ho dovuto prima togliermi l’impermeabile, poi il maglione a collo alto che portavo sotto e infine i jeans.

Te la racconto in breve (anche perché mi sa che già raccontandotela così ti sto provocando un piccolo sturbo), ma le cose sono andate per le lunghe perché ogni volta che mi mettevo a protestare, quell’omuncolo diceva: “Benissimo, se preferisce che chiamiamo il 113…”

Quando, avendogli fatto constatare che il Casanova era l’unico libro che avevo cercato di fregargli, ho provato a rivestirmi, lui mi ha detto, come dieci minuti prima , ma questa volta più ironico: “Dove crede di andare, signorina?”.

Avevo pensato che, vista l’età, l’omuncolo fosse disposto a ritenersi risarcito dallo striptease che ero stata costretta ad improvvisare , ma mi sbagliavo. Non entro in particolari perchè solo il ricordo di quello che è accaduto in quella mezz’ora mi offende e mi deprime, ma ti assicuro che alla fine l’ometto era decisamente ringalluzzito e di buon umore.

Oggi è una giornata luminosa e calda. Ho fatto colazione al bar. Caffè e croissant.
Mi sento già meglio.

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CAT: Letteratura

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