Senza farci un saluto

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8 Aprile 2020

L’animaletto mitologico del sei politico è tornato sulla scena. E questa volta di politico non ha niente: non c’era molto altro da fare, tutto qui. Comanda il nostro caro virus. Paura e alienazione/ e non quello che dici tu./Le rughe han troppi secoli oramai/ truccarle non si può più -. Un Battisti molto Battiato, che la Murgia non troverà intellettuale. Ma io non sono la Murgia, e la strofa mi soffia dentro, il presente.

-Vabbè, ma si sapeva! – dice Penelope con nonchalance, a tavola, davanti alle sogliole dorate, che non atterravano sui nostri piatti da mesi: lo smart working della mami sdogana lo sbattimento del pesce fritto, e scuote il menù.

Si leggono le teorie degli esperti del campo, che sono praticamente tutti, come per il calcio: qualcosa di fondamentale da dire ce l’ha anche chi non ha mai imparato le tabelline a memoria, o fatto tre palleggi. La più eroica sostiene (si augura?) che senza la paura al culo i ragazzi avranno più stimolo a studiare. Alleggerito dall’inquisizione del voto, il sapere diventa affascinante. Non è solo affascinante, ma pura libidine, a mio parere, peccato che io non abbia diciassette anni, la bellezza di un dio (minore, ok), un paio di bubboni sulla fronte, la sudorazione di un mandrillo, la fregola di aria aperta e corpi incollati. Ne mantengo solo una buona memoria.

Dopo aver finito di dividerci i pani e i pesci, non senza briciole di conflitto (il pesce fritto non basta mai), mi sono dedicato alle relazioni interrotte. Un paio di telefonate. La prima con l’amico che ha un bambina di soli quattro mesi, nata dentro il tempo del Coronavirus. Per fortuna, esclama, ha un cortiletto condominiale di qualche metro quadro dove passa la maggior parte del tempo con lei, andando avanti e indietro, come ci insegnano gli animale nello zoo. – Non stai vedendo nessuno anche tu? – Domanda ovvia, ma viene sempre, ghe nient de fà. Invece no, lui qualcuno lo incontra. Un amico che conosco anch’io, che abita nello stesso condominio e ha due figlie piccole. Si incontrano in cortile e si dividono il rettandolo in due quadrati. Una family circola nella parte destra e l’altra nella sinistra. A debita distanza. E se la raccontano. La paternità ai tempi eccetera eccetera.

Non usciva da dodici giorni ed è andato ritirare la spesa ordinata online al Carrefour. Ha aspettato più o meno lo stesso tempo di chi era in fila per farla in diretta, prima di riuscire ad agguantare il carrello con la tutte le sue cosine buone accatastate alla meglio. E si è riempito i sacchetti. Abita così vicino che avrebbe anche potuto spingerlo fino al suo pianterreno e passare il tutto alla compagna: ha La finestra sul cortile. Il film di Alfred Hitchcock ci sta, come mood. Il fotoreporter in sedia a rotelle, costretto a casa, che passa il tempo a osservare i suoi vicini di casa. Costretto in carrozzella come molti vecchi che vivono in una RSA. Strutture dove le bare sono posizionate con cura, per fare spazio, nei corridoi, perchè nessuno se le porta via. Il personale che fa il lavoro sporco del contatto giornaliero con gli ambienti invasi dal virus è quello che è. E spesso ha paura. E spesso si ritira. Nessun giudizio è ammesso. Qualunque giudizio è infamia.

L’altra telefonata contiene purtroppo una notizia che orbita intorno a queste memorie che se ne stanno andando come fantasmi, idee che vanno a morire, senza farti un saluto: è ‘Una notte in Italia di Fossati’, a farci l’inchino della citazione. L’amico mi racconta di questi due quasi novantenni, genitori di una persona che conosce da sempre. Se ne sono andati uno dopo l’altro in una settimana. Niente a che vedere con il virus. Sani, in fondo, per la loro età. Autosufficienti. Hanno smesso di mangiare. Hanno scelto di spegnersi. Il mondo fuori non poteva più comprenderli. Non c’era più una motivazione. Hanno tolto il disturbo. E io vorrei essere una specie di umilissimo supereroe, colui che ha una lingua per mantello, e arriva a raccogliere, stremato e avido, le storie potenti vissute da tutti questi vecchi che cadono come foglie d’autunno. Per farle rifiorire, in questa primavera sbandata.

TAG: paternità, Quarantena, storie, vecchi
CAT: costumi sociali

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