Il lavandino di Le Corbusier

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20 Aprile 2020

Nel 1928, Pierre Savoye, un broker assicurativo socio del gruppo Gras-Savoye, commissionò a Charles-Edouard Jeanneret, meglio noto come Le Corbusier e al cugino e socio di lui, Pierre Jeanneret, il progetto di una residenza dove trascorrere i fine settimana con la famiglia. La costruzione ebbe inizio nel febbraio del 1929 e l’abitazione venne conclusa nel 1931.

Nell’estate del 1989 Francis Fukuyama scrisse il suo saggio più famoso “La fine della storia”. Pubblicato sulla rivista statunitense «The National Interest» e su quella francese «Commentaire», il testo esplorava  nuovi termini e possibilità per descrivere l’apice delle «sviluppo moderno», indicando, più che la  reale – provocatoria – conclusione della Storia, lo scopo o l’obiettivo della Storia stessa. Egli pose con il suo scritto  la questione del proseguimento al punto terminale dello sviluppo umano o meglio del processo di modernizzazione, che sembrava giunta al suo picco più elevato, alla sua fine, con la “vittoria” delle moderne Democrazie.(*)

Probabilmente vi starete chiedendo il perchè questi due avvenimenti siano qui collegati. Semplicemente perché Ville Savoye è uno dei simboli universalmente riconosciuti del Modernismo che se per l’Architettura vede l’ideale cessazione il 15 luglio 1972 con l’abbattimento a Saint Louis, Missouri, del complesso Pruitt-Igoe progettato da Minoru Yamasaki, per il resto del mondo, almeno stando a Fukuyama, sarebbe cessato con la Glasnost di Michail Gorbaciov e la caduta del muro di Berlino. Appunto nel 1989.

Ora, sono passati 48 anni dal Pruitt-Igoe e 31 dalla caduta del muro, ed è lampante che la storia non è finita. Come Fukuyama precisa infatti, è probabile che nel 1989 sia solo ricominciata. Ma se la storia è ricominciata, potrebbe essere, quindi, che pure il Modernismo non sia cessato in quel 1972 , forse aveva solo cambiato pelle, e stia ricominciando senza rispetto per il “Post-Modernismo” di Charles Jencks,  della “Tendenza” di Tafuri e Rossi, del “Decostruttivismo” del primo Liebeskind, Eisenman, Hadid  e di tutti quegli “ismi” che si sono succeduti da quel 15 luglio.

Una pensiero affiorato durante la “garanzia” domestica dovuta al Lockdown da Coronavirus, o Covid-19 che dir si voglia. Ma perchè è affiorato?

In giorni in cui alcuni architetti, con il tempismo visionario che spesso contraddistingue la categoria contemporanea nell’arrivare sempre in ritardo e ogni tanto sembrare un pò approfittatrice, stanno ipotizzando sistemi di C.U.R.A o semplicemente un D.O.P.O (**) ho assistito all’affiorare di altri pensieri. Due in particolare. Il primo, ovviamente, come sentiamo in questi giorni lo spazio della domesticità e  la seconda circa  l’evoluzione dell’architettura e della città? Se per Beatriz Colomina, la tubercolosi e lo sviluppo dei Raggi X furono alla base del Moderno, che “ismo” potrebbe nascere durante e dopo il  Covid-19? Un’altra malattia che prende di mira i polmoni; “ Li dove è la difficoltà di ogni respiro e quindi il tesoro di ogni respiro: la malinconia della modernità” (https://www.lars-mueller-publishers.com/x-ray-architecture).

Riguardo alla prima domanda ero incuriosito circa il cortocircuito semantico quotidiano che la “casa”o meglio “Le case che siamo”, per dirla come Luca Molinari in un suo libretto di qualche anno fa, stanno vivendo. Ho pensato ad Heidegger, e il suo famoso saggio“Costruire, abitare, pensare” nel quale indicava come, per l’uomo, essere nel mondo era abitare il mondo. Pur se “L’abitare non viene esperito come l’essere dell’uomo; l’abitare non viene mai in alcun modo pensato come il tratto fondamentale dell’essere dell’uomo”, Heidegger dicevo, come vivrebbe l’abitare e essere di una quarantena come quella odierna?

La casa senza funzione, la casa scuola, la casa teatro, la casa fondale di Skype, la casa iperprotettiva ma nel contempo prigione materiale, la casa ove la privacy è esplosa e per cercare la quale si esce – da casa – nelle modalità consentite – per vivere ognuno il proprio momento di intima solitudine, in Strada. Invadendo lo spazio di quegli uomini (senza casa) – homeless – i quali sono gli unici che vivono aree urbane come spazi privati e l’intera città come uno spazio domestico, muovendosi, lungo l’arco delle loro giornate, da una mensa ad un luogo dove potersi fare una doccia, da uno spazio di lavoro ( per alcuni) a un luogo dove dormire.

Un bel ribaltamento non c’è che dire.

Circa la seconda riflessione, invece, ho avuto una piccola scossa mentre, preparando una lezione, mi sono ritrovato a fissare intensamente la foto del piccolo lavabo che Le Corbusier aveva posto al piano terra di Ville Savoye, appena davanti l’autorimessa, tra la scala a ferro di cavallo e la “promenade architecturale” che si snoda entro la villa e che portano, entrambe scala e rampa, ai livelli domestici superiori. O mentre osservavo il bagno indipendente per i  figli del committente della coeva Casa Dalsace, meglio conosciuta come Maison de Verre, progetto di Pierre Chareau e Bernard Bijvoet, al cui cantiere faceva spesso capolino il buon Edouard Jeanneret alias Le Corbusier. Ho cominciato ossessivamente a pensare alla suddivisione estetica che potremo vivere tra igiene e cura del corpo ed espletamento delle funzioni corporali. Che è qualcosa di antico. Della prima fa parte la regola più semplice da seguire per evitare – per quanto possibile – il contagio. Una regola che pare oggi fosse eccezionalmente scontata ma non troppo. Lavarsi le mani. A come, quel semplice gesto assunto a nuovo rituale al quale abbiamo legato l’estetica musicale dei 30 secondi, potrebbe cambiare non solo abitudini ma spazi. Facendo così un parallelo tra una società iperconnessa ma rinchiusa in casa, che necessita di un ritorno alle regole base dell’igiene e alla loro estetica e l’importanza che l’igiene ebbe per il Modernismo. Il corpo sano, la luce, la trasparenza, la medicina, la pulizia. Spazi liberi. I principi igienici alla base delle griglie urbane contemporanee. La “Ville Radieuse”, la luce del sole ad uccidere batteri e virus. Ma anche la Città Radiosa dove, forse, avremo la possibilità di godersi un tempo meno veloce perchè tutto può scomparire con uno starnuto.

Lavarsi le mani. Cantando per trenta secondi.

Ho così immaginato che – come in Ville Savoye – in un prossimo futuro, probabilmente, il primo oggetto che troveremo nelle case sarà un lavandino, collegato ad un momento sonoro, quindi un suo spazio preposto. E poi – forse -una piccola unità di igienizzazione per le scarpe e finanche alcuni vestiti. I servizi igienici non saranno più relegati a funzioni di “servizio”, quand’anche di lusso, ma saranno il primo elemento dell’estetica domestica. L’ingresso igienico alla  nuova domesticità, dove conviveranno senza shock, cucinotti|ufficio, living|palestre, camere da letto|aule di scuola, studi | Skype-background. Protagoniste di tutto torneranno superfici e trattamenti di aiuto alla maniacale e rituale pulizia del corpo e dell’ambiente, si da tenere sotto controllo e rendere visibile lo sporco e con esso la presenza di virus e batteri (***). Ormai assunti a realtà domestica contemporanea e non solo ispirazione di “design” per alcune texture di laminati plastici.

Stai a vedere che il Modernismo – come la storia non finita di Fukuyama – è risorto e Le Corbusier con quel semplice lavandino, in bella vista, appena dentro casa quasi come una Fontana Duchampiana, come spesso gli capitò nella sua carriera di vero visionario, aveva visto lungo.

(*) Una veloce spiegazione al senso dello scritto a questo link.https://www.corriere.it/cultura/18_giugno_30/francis-fukuyama-la-fine-della-storia-vita-pensiero-84cebf1e-7c72-11e8-87b8-02c87e8bc58c.shtml?refresh_ce-cp

(**) C.U.R.A ( Connected Units for Respiratory Ailments)  Carlo Ratti Associati + Italo Rota, D.O.P.O ( Design Oriented Postpandemic Opportunities)  partito da un’idea di Flavia Brenci, Maurizio Carta e Mosè Ricci.

(***) Avete notato come le esigenze di espansione produttiva hanno reso, nel tempo, le superfici un tempo pensate per la pura igiene, atte, con colori e texture a “nascondere” e mimetizzare, invece di far risaltare, lo sporco, la polvere o le macchie che potremmo avere nelle nostre case?

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CAT: Architettura e urbanistica

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