Parma calcio: a casa di Verdi è arrivato Beckett

28 Febbraio 2015

Sipario.

Nella città del melodramma va in scena la farsa: Falstaff. La vicenda si svolge a Parma, sotto il governo di Federico Pizzarotti, figura accessoria che si sbraccia a colpi di tweet per ottenere un ruolo da comprimario. Sir Falstaff è uno sbruffone con problemi di portafoglio, somiglia insomma sin troppo alla squadra di calcio della città, il Parma Fc. Com’è noto, Verdi non perdona, l’opera nemmeno, e il primo attore pagherà ogni sua smargiassata.

Falstaff gozzoviglia, è stato ripulito dai debiti di un crac e promosso Sir da Enrico Bondi – il liquidatore di Parmalat – dopo che Calisto Tanzi l’ha fatto sognare da re (e si sa come). Vive nel limbo di metà classifica, ricorda fasti passati, ma ecco entra la prima comare di Windsor: il bresciano Tommaso Ghirardi, che di teatrale ha proprio il physique. (Nota: le comari sono più delle tre messe in libretto da Arrigo Boito, perché questa è la città del melodramma e la realtà supera il palcoscenico).

Ha imparato a mangiare parecchio Falstaff col sistema dell’ad Pietro Leonardi che il Daily Mail ha definito “mercato degli schiavi”: 240 giocatori tesserati e mai visti. Ha voglia di ottenere un posto più visibile in società, ha voglia di Europa League e se la guadagna a maggio 2014 contro il Livorno. Ma qui iniziano gli scherzi. Ghirardi non paga 300mila euro di Irpef e obbliga il protagonista a cedere il posto in Europa al Torino. Il loggione gialloblu, pur non avendo mai amato Ghirardi, molto tollera – perché se si infierisce sull’artista alla prima nota calante, l’opera è già finita – e strilla al complotto europeo. Il polposo bresciano dichiara: “Sono molto amareggiato da questo sistema sportivo”. Abbondano i coup de théâtre e si arriva alla cesta dei panni sporchi: nel 2006 aveva indebitato la squadra-Falstaff per 16 milioni di euro, oggi è a 200.

Secondo atto. Ghirardi non ha più quattrini, non paga gli stipendi a personale e giocatori da sette mesi, e passa il pacco azionario a un petroliere albanese, Rezart Taci, dichiarando “il Parma è finito in buone mani e i parmigiani dovranno ringraziarmi anche per questa cessione” (si noti la congiunzione “anche”).

Potenza della lirica: a Parma c’è il detto “trid c’me l’Albania”, ossia trito, logoro come l’ultimo dei satelliti sovietici, nato anni fa quando sbarcavano profughi in Puglia in cerca di un paradiso. Ecco: oggi l’Albania siamo noi. Alla compagine di Tirana basta un euro per portarsi via la squadra e la sua storia. La comare Taci, come vergognandosi di un acquisto così temerario, prima nega, lui è solo il presidente del gruppo che ha comprato, poi passa al socio, l’anonimo gioielliere ancora albanese Pietro Doca (da cui nasce immediatamente la pagina Facebook: “Chi è Pietro Doca su Google non c’è”) che dopo appena un giorno passa la presidenza all’ennesima comare del gruppo, il 29enne Emir Kodra, che è ancora Albania o meglio l’Albania siamo noi, visto che alla fine, alla chetichella, arriva Giampietro Manenti, titolare della Mapi Group, società con sede in Slovenia con capitale sociale 7500 euro.

È il 3 febbraio 2015, Shakespeare lascia spazio ad un intarsio a la Beckett. Manenti giura ogni giorno che il giorno seguente sanerà i debiti con quello che è ormai il tormentone in città: il bonifico. Tanto ricca di spunti è la pièce da aver fatto nascere anche un gioco da tavolo, il Mapi Game da ritagliare di Parmafanzine, vai col dado e se ti capita ad esempio il 6 sei fortunato: “Ho un piano infallibile per salvare il Parma”, qualcuno incredibilmente ti crede. Tira ancora.

La platea come da tradizione è freddina: la bella industria di Parma non muove un dito, ha già i suoi problemi di budget e si è mescolata a sufficienza brindando in foyer con l’improbabile commensale Taci. Il loggione che ha finito i pomodori scende a protestare, chiede galera subito davanti al villozzo liberty del direttore sportivo Leonardi a due passi dallo stadio Tardini. Uno stadio chiuso: salta Parma – Udinese, ed è la prima volta nella storia del calcio italiano che accade perché mancano i soldi per pagare steward e bollette. Salta Genoa – Parma: i giocatori incrociano i piedi. La Procura apre un’inchiesta per bancarotta fraudolenta. Chi chiede il fallimento per avere almeno parte del dovuto, mentre in Italia va in scena un campionato dell’assurdo, in cui non si capisce come far quadrare la classifica. Vanno all’asta le panchine, si smontano i pc, come se lo spettacolo fosse finito e si portassero via le scene. Ma no, non è finito.

Ci sono anche piccoli eroi nel canovaccio: capitan Lucarelli, il capopopolo toscano che ha tutto ciò che serve per diventare il sostituto di quell’Osio sindaco che stava scritto sui muri come “Viva Verdi” e aveva fatto impazzire la città portando la squadra in A. Ha tutto, tranne i risultati: 17 sconfitte su 21 partite.
C’è Alessandro Melli, che aveva fatto coppia con Osio ai tempi in cui tutto andava tanto bene da sembrare la Scala, non un teatrino di periferia, Melli gabbato, che da team manager è in arretrato di 19 mensilità come la moglie, legale della società.

Lo spettacolo non è concluso, ma il loggione già sputa e fischia fuor di metafora al più strampalato dei personaggi di questa farsa, Manenti il capro espiatorio. Mentre il Toro, lui sì ex fallito, arriva a celebrare il matrimonio felice del Falstaff originale: lui sì che meritava di baciare la sposa, lui sì che soffre e vince a Bilbao dove nessuno era mai passato. Torino che, fatalità, ha un Teatro Regio proprio come lo ha (o lo aveva) Parma. Il Falstaff originale chiude a grasse risate. Ma Parma è ormai come quell’attrice smemorata, che ha tanto pianto e riso da non avere più la battuta: l’ha dimenticata.

@lapaolabria

TAG:
CAT: calcio

Nessun commento

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

CARICAMENTO...