Giustizia, spinta per una crescita economica egualitaria

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20 Gennaio 2022

Come potrebbe realizzarsi una società giusta? La giustizia sociale si realizzerebbe ritornando ad un passato in cui l’economia si basava sul baratto, uno scambio cioè di competenze, beni e servizi. Economia, da “oikos”, dimora, amministrazione della casa, indica un uso razionale del denaro che mira a ottenere il massimo vantaggio a parità di dispendio. A questa parola si ricollega la denominazione di educazione domestica, data all’insieme delle norme per la buona tenuta di una casa, nell’ambito del gruppo familiare; era così chiamata anche una materia d’insegnamento nell’istituto tecnico femminile.

La pandemia non ha fatto che accrescere le disuguaglianze tra chi possiede danaro e chi è sull’orlo della povertà. Come un buon economo, lo Stato dovrebbe distribuire diversamente le ricchezze, tassare patrimoni. La solita lamentela è che i soldi mancano, la verità è che i patrimoni privati in Italia sono enormi, senza considerare i beni non dichiarati, quelli che i ricchi ammassano nei paradisi fiscali e che nascondono al fisco. Fortune accumulate sfruttando il lavoro altrui, massimizzando il tempo trascorso a lavoro spogliando il lavoratore di garanzie, truccando appalti. Si pensi ai soldi stanziati dall’Europa come risorsa per risollevare l’economia dopo la battuta d’arresto della pandemia, il Recovery Found: i fondi del PNRR stanziati per lo sviluppo del traffico ferroviario in Italia prevedono la creazione di nuovi tracciati, ammodernamento di quelli esistenti, riqualificazioni delle stazioni. Gli investimenti sono divisi più o meno equamente fra le regioni del Nord e del Centro-Sud, quando sono quest’ultime ad avere bisogno da decenni di un potenziamento massiccio sulla linea, sia regionale sia ad alta velocità.

Una tendenza che prende sempre più piede nella società odierna è quella di trasformare l’economia da scienza umana a scienza esatta, e di favorire la sua applicazione alla sfera politica. Trasformazione che pretende di dare delle risposte certe a domande incerte e che, quindi, compie l’errore di far passare dei dogmi per evidenze. È da attribuire a questa patologia del metodo uno dei motivi della diffusa ostilità nei confronti della politica. Il compito dei politici non sembra più quello di dirigere i processi e dunque demistificarli, ma semplicemente di giustificarli al di là delle loro conseguenze sociali. In altre parole, sembra che compito del politico sia più quello di difendere ideologicamente il dogmatismo che immaginare forme di risposte ragionevoli e che corrispondano al sentire comune. Più che uno scienziato sociale, il politico è oggi un sacerdote della teologia economica.

Quando prendiamo una decisione, scegliamo, agiamo, parliamo, o restiamo in silenzio, i nostri sentimenti e le nostre ragioni si intersecano costantemente. Ognuno di noi ha una storia, un percorso intimo e complesso, nessuno è un agente razionale in grado di scegliere e di agire solo dopo aver calcolato i costi e i benefici delle proprie azioni. Quando entriamo in relazione con l’altro lo facciamo sempre a partire dalla nostra interiorità. La malattia più diffusa dei nostri tempi concerne l’uso pubblico del senso comune che si potrebbe definire ossimoricamente un relativismo dogmatico. Il relativismo è intrinseco nella tensione democratica; quando si lamenta il fatto che tutti prendono la parola e formulano giudizi politici, dovremmo ricordare che questo non è un effetto perverso ma virtuoso dei regimi democratici.

TAG: economia, regimi democratici
CAT: commercio, economia civile

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