Ma davvero i diritti delle donne possono essere celebrati solo l’8 marzo?

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6 Marzo 2023
Sebbene di riconoscimento del potenziale femminile e di rispetto dei diritti delle donne si parli di continuo, il ruolo che viene attribuito loro risulta ancora marginale come nei processi di pace. Cosa rimane al netto delle celebrazioni previste per l’8 marzo nella quotidianità?

 

Come ogni anno, a partire del 8 marzo 1948, data in cui le donne di New York scesero in strada per ottenere il riconoscimento dei loro diritti politici, ovvero poter avere voce in capitolo nei processi di pace ed in materia di lavoro, e prima ancora, nel lontano 1929, le 129 donne operaie americane, morirono in un incendio durante uno sciopero sul proprio posto di lavoro, anche quest’anno, le celebrazioni internazionali dedicate all’universo femminile ed alle sue battaglie, non mancheranno in ogni dove ( il 1910, durante la Conferenza internazionale delle Donne Socialiste a Copenaghen, su proposta di Clara Zetkin, venne istituita la “Giornata Internazionale della Donna”) . Anzi, in una dimensione sociale e culturale, in cui alla parità di genere ed allo sviluppo del potenziale femminile si torna a fare riferimento ogni due per tre, quello che emerge, al netto di ogni formalismo o atto simbolico di sorta, è un ruolo ancora assai marginale riservato alle donne, in molteplici dinamiche di carattere politico, geopolitico, economico e professionale in generale. Basti pensare, come le persone di sesso femminile siano ancora escluse dalle operazioni riguardanti i processi di pace.

Sono trascorsi oltre 23 anni da quando le Nazioni Unite, hanno chiesto che sia garantita una presenza femminile più significativa nelle dinamiche attinenti la soluzione dei conflitti ed addirittura la loro prevenzione. Proprio in virtù di una maggiore propensione delle donne ad instaurare e coltivare rapporti più stabili, credibili ed duraturi. Nonostante ciò, la discriminazione loro riservata, balza in modo molto lampante agli onori della cronaca dei giorni nostri. Già, questi tempi così confusi, spersonalizzati, destrutturati, dove ad imperare appare solo ed esclusivamente la politica del non – sense, ed anche soffermarsi e chiedersi la direzione verso cui siamo orientati, costituisce una minaccia intellettuale da zittire, se è necessario, anche con la forza. Dal 1945, anno in cui la Carta delle Nazioni Unite, sancì il principio di parità formale e sostanziale tra uomini e donne, sotto forma di primo accordo internazionale, le conquiste per l’universo femminile sono state tante ed importanti di sicuro, come il riconoscimento del diritto di voto, la parità salariale, il divorzio, la potestà genitoriale condivisa con il padre dei propri figli, la legge sull’aborto, le leggi per perseguire reati in tema di libertà sessuale, quelle che puniscono i femminicidi e lo stalking, di recente introduzione italiana, per esempio. Tuttavia, tantissima è ancora la strada da percorrere senza tentennamenti che mortificherebbero la democrazia. Ma, focalizzando l’attenzione in campo internazionale, il numero di donne presenti nella conduzione di processi di pace, è davvero molto inferiore rispetto a quello degli uomini impiegati. Ancora, di quelle che vi prendono parte, solo una percentuale esigua, viene interessata nelle fasi decisionali, pagando il prezzo del pregiudizio, retaggio del passato, o stereotipo aprioristicamente attribuito al genere, considerato il “sesso debole”. Nel 2011, la stessa Assemblea Generale dell’ ONU, ha approvato all’unanimità una risoluzione sul cosiddetto “Rafforzamento del ruolo della mediazione nella soluzione pacifica delle controversie, prevenzione e risoluzione dei conflitti”, per incentivare i vari Paesi ad accrescere la percentuale di donne coinvolte nei processi di pace. Proprio perché, si creerebbero diverse e nuove opportunità  di risanamento economico, di riconoscimento delle violazione dei diritti umani, e si promuoverebbe l’introduzione di interventi legislativi efficaci. Sempre le Nazioni Unite, in ordine alle misure predisposte per prevenire i conflitti, il 18 ottobre del 2013, precisamente, durante la riunione del Consiglio di Sicurezza, hanno adottato una ennesima risoluzione che impone agli Stati membri ed alle organizzazioni regionali ma anche all’ ONU stessa, il ricorso a misure più incisive a sostegno delle donne, permettendo loro di partecipare alle trattative di pace.

Da parte nostra, in Italia, a partire dal 1946, anno in cui le donne ottennero il riconoscimento del diritto di voto, a parità di trattamento con gli uomini, siamo soliti celebrare l’8 marzo con i ramoscelli di mimosa da appuntare sul petto, un fiore tipicamente primaverile che simboleggia lo sbocciare della bella stagione, della vita e dell’anima. Ecco, ma quando anche per questa volta, i riflettori si spegneranno sulle celebrazioni di rito, di quel cumulo infinito di diritti, sentimenti, speranze, dolori, lacrime di tutte le donne del mondo, che ne sarà? Visto che, se ti chiami Donna, molte, troppe volte, fai paura e ti preferiscono combattere ed inibire, con la parola Guerra, su ogni fronte…Perché la parola Pace, sarebbe assai simile alla parola Vita che, a sua volta, ne contiene un’ altra, ancora più potente…Libertà E, tutte, si declinano guarda caso, al femminile.

 

 

 

 

 

 

TAG: #chiaraperrucci, #dirittiumani, #freedom, 8marzo, attualità, donne, glistatigenerali
CAT: diritti umani, Geopolitica

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