#VENTUNO_III: LA POLITICA DESNUDA

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7 Dicembre 2014

Lorenzo Castellani Scrivo da un ristorante giapponese, lato Sud del Tamigi, i camerieri sono un italiano e un bulgaro. Mentre sono qui posso fare diverse cose politicamente rilevanti: scrivere un articolo o ideare uno stato Facebook che verrà letto da qualche centinaio o migliaio di persone, posso twittare al mio presidente del Consiglio, al sindaco del mio comune e a tutto il mondo parlamentare, posso avere accesso con un dito a notizie e dati che permettono di comparare, valutare, elaborare. La politica del XXI secolo ha due aspetti che la rendono completamente diversa dalla precedente: uno esterno basato sull’intreccio tra poteri ed istituzioni globali e uno interno legato al rapporto tra cittadini e rappresentanti. Sul primo aspetto torneremo più avanti, del secondo parliamo oggi perché la comunicazione, l’immediatezza e la rete hanno cambiato davvero tutto alzando le pretese dei cittadini, disintermediando al massimo la politica, superando i partiti, svuotando le culture politiche. Oggi velocità e immediatezza fanno tutta la differenza tra successo e sconfitta politica.

Michele Silenzi La disintermediazione è avvenuta in modo radicale in due orizzonti, la politica, come hai già detto, e la cultura/informazione. Ma questi due orizzonti sono del tutto sovrapponibili. Si nutrono l’uno dell’altro, vanno avanti a braccetto e uno non può fare a meno dell’altro. Mi sembra si sia perso quello che è stato negli anni passati l’arma principale della società occidentale borghese ovvero il senso comune. Una forma di consapevolezza media che guarda al mondo con un certo grado di razionalità e di scetticismo e che permetteva, difendendo i propri interessi e quelli del proprio orizzonte di appartenenza, di creare una funzionale mediazione a livello politico cioè di rappresentanza di interessi. Il martellamento informativo, il pensare che basti aprire un qualsiasi sito di notizie per sapere tutto quello che c’è da sapere sul mondo e così formarsi una opinione completa e perfetta sulle cose che accadono nel mondo ha portato a una disintegrazione del senso comune a vantaggio di quella che chiamerei superstizione culturale. E gli effetti sulla politica sono evidenti.

LC Questa situazione ha creato una sproporzione di aspettative tra le promesse della politiche di cui gli elettori si nutrono e la capacità effettiva dei governi di realizzarle. È l’effetto che l’inglese Matthew Flinders chiama “expectations gap” e l’americano Nathan Gardels il teorema della “Coca-Cola Light”, cioè pretendo tutto e subito dalla politica ma senza sacrificio alcuno. È l’origine del populismo, che non è più nemmeno identificabile in un termine o distinguibile sullo scacchiere politico perché questa fame di velocità si è diffusa in ogni movimento e leader politico di successo. È ciò che in un saggio inserito in “Pensare per governare” ho chiamato il pensiero breve. Saltare ogni calcolo, ogni verifica, ogni scetticismo verso l’offerta politica pur di illudersi di vedere immediatamente soddisfatte le proprie esigenze. La borghesia di cui tu parli di fatto non esiste più o è comunque molto minoritaria e poco influente, infatti una volta le elezioni si vincevano al centro e oggi si vincono assorbendo gli estremi, la protesta, l’opinione urlata e feroce.

MS E’ così. Quel tipo di orizzonte sociale di riferimento, di fatto, tende a scomparire. E questo può anche essere un bene in una società che sempre di più si basa su flessibilità e adattabilità, anche se in Italia siamo ben lontani dal volerlo accettare. In tutto questo, il problema della politica è la velocità di cui parli tu. Però non è una velocità che detta il passo e apre nuovi orizzonti, non è una velocità che segna il passo della storia ma una velocità sterile, data dal puro rincorrere le nuove pulsioni dell’elettorato fomentate dai giornali e dalle televisioni. E’ il ritorno della superstizione, come dicevo prima. Una radicale perdita di razionalità a favore di stregoni e incantatori causata da un rifiuto assoluto di accettare la realtà. Una incapacità di vivere in questo tempo presente e di sfruttare le sue infinite potenzialità. La politica non è altro che uno specchio, come scriveva Buchanan “la loro follia (quella dei politici, nda) è la nostra follia (quella degli elettori, nda)”.

LC La politica è diventata come Amazon. L’elettore cerca un prodotto, lo acquista, ma può passare con un click alla concorrenza o ad un prodotto nuovo. Lo stesso vale per leader e partiti, ma con una differenza enorme: mentre nel mercato si incontrano l’interesse di compratori e venditore di quel singolo prodotto e quindi funziona, nella politica si scontrano gli interessi di tutti. Così si crea quel cortocircuito tra interessi costituiti che a sua volta genera veti a qualsiasi decisione mantenendo lo status quo. Questo però, in momenti di crisi economica, genera e alimenta insoddisfazioni che spingono gli elettori a saltare rapidamente da un leader all’altro per protesta o per attrazione cutanea, o a restare a casa. Si crea un effetto “montagne russe” con ascese e cadute rapidissime dei fenomeni politici, mentre le riforme annaspano. Come ne possiamo uscire? Irrobustendo le culture politiche, diminuendo gli interessi a disposizione della politica e dello Stato, riorganizzando le istituzioni per fronteggiare le particolarità del XXI secolo. 

MS E questo punto è cardinale. E’ un derivato di quell’approccio sempre più superstizioso di cui ho parlato fino ad ora. La superstizione deriva dalla complessità crescente del mondo. Dal suo essere strutturalmente interconnesso (perdonate l’orrenda parola) e da come la politica non riesca più a gestire questa complessità. Anzi non è tanto che non riesce, non è proprio il suo campo da gioco. E’ uno sport su cui la politica non riesce a misurarsi perché non ha sufficienti strumenti per farlo. Perché il potere non è più in un posto specifico ma diffusissimo e quindi, per sua stessa natura, quasi incontrollabile. Ma se la politica non riesce più a controllare, e personalmente penso possa essere un bene, allora, probabilmente, ha perso del tutto la sua funzione storica. Allora viene in mente che proprio le istituzioni che la politica fa funzionare forse non sono più gli strumenti adatti per governare. Ma questo tema richiede una discussione bene più articolata e, per chi ne avrà voglia, ne parliamo domenica prossima.

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CAT: Filosofia

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