Disarmare la memoria: perché la pace non può fare a meno di verità e oblio

7 Novembre 2023

L’altro giorno, l’ex presidente Obama ha pronunciato un intervento coraggioso e illuminato sulla questione del conflitto tra Israele e Palestina (o Hamas?), tutto centrato sulla necessità di essere in grado di gestire la complessità di una storia in cui “nessuno ha le mani pulite”. Ci ho pensato molto alla complessità tipicamente mediorientale della vicenda sin dall’inizio del conflitto, come ho riflettuto prima di mettere sulla mia foto del profilo social la bandiera di Israele.

Semplificando, e ovviamente per quel che vale in quanto sette miliardesimo dell’opinione pubblica mondiale, ho avvertito come occidentale (genere illuminista, non con la paranoia dell’assedio) la vicinanza a Israele, quella delle elezioni libere e frequenti, di Tel Aviv, dell’innovazione estrema, del running sul lungomare e delle start up tecnologiche, delle quali si parlava con un po’ di invidia in un convegno a Milano con l’OCSE due settimane prima che scoppiasse il disastro. Ho semplificato e ho scelto, come con ben maggiore eco ha fatto un artista che, in linea con tanta parte della storia della sinistra italiana, ha boicottato una manifestazione culturale in dissenso con il patrocinio dell’ambasciata di Israele. Ognuno di noi ha visto, ha voluto vedere, il lato luminoso della propria luna, tralasciando gli altri: la bestiale insensibilità di Hamas per le vite umane anche del proprio popolo e lo stato comatoso della seppur minima democrazia in Palestina da un alto, i pazzi estremisti che compongono un governo da basso impero e l’esistenza di due paesi completamente divisi (che relazione c’è tra i coloni armati e i ragazzi del rave a Tel Aviv?) dall’altro. La sostanza è quella di un disastro, peraltro impastato in quel cemento incomprensibile, almeno ad un occidentale semplice come chi scrive, che è il tribalismo mediorientale: più o meno tutti contro tutti, a parte repentini cambiamenti di fronte, come nei passaggi più faticosi da mandare a memoria del manuale di Storia moderna.

A proposito della Storia, in questi giorni di notizie tragiche, di inumane minacce e di rivendicazione di ragioni storiche e di storici diritti ho pensato, io storico di formazione e innamorato della disciplina, che forse in conflitti così intricati, profondi, mai risolti (irrisolvibili?), l’approccio della ragione storica non serva a risolvere la situazione, a trovare quella pace sporca e piena di rinunce come la politica di cui ha parlato qui in un bellissimo pezzo Jacopo Tondelli.

Drogati di razionalismo illuminista pretendiamo, non solo quando si parla di Israele e Palestina, che risalire alla verità storica ci metta in contatto con una Cassazione morale che risolve ogni conflitto politico, con la Memoria come benevolo gendarme. Lì non è così, troppa ruggine, orrore, rivendicazioni, interessi esterni, strumentalizzazioni. E sospetto che quello che non funziona lì stia già smettendo di funzionare anche qui: nell’era delle verità alternative, del pensiero disattento e precario, della scomparsa di ogni autorità che certifichi le fonti (a partire da quella, anagrafica, dei protagonisti di quella tragedia che ha ridefinito il concetto novecentesco di Memoria).

Allora, a partire dal conflitto in corso e da quella parte politica progressista che ha più pervicacemente covato il focolare della Memoria come bene assoluto, è forse arrivato il tempo di guardare veramente avanti, anche rivalutando il valore dell’oblio, del reset come univa via per avanzare nel fango dei rancori storici e del troppo rumore di fondo. Considerare il conflitto oggi e le soluzioni per l’oggi, in qualche modo azzerando i torti, non perché non ci siano ma perché non portano da nessuna parte. Si può fare, è stato già fatto.

L’esempio preclaro di questo approccio è la South African Truth and Reconciliation Commission, che a metà degli anni ’90 acclarò le atrocità del regime dell’apartheid e sancì una riconciliazione fra oppressi e oppressori (con mille buchi, ma questa è la politica e la vita) permettendo alla presidenza Mandela di cominciare senza guerra civile. Alcuni intellettuali israeliani nel tempo ci hanno pensato e forse sarebbe il tempo di riconsiderare un positivo reset, in linea con un’epoca che impara velocemente e dimentica in fretta. Per quanto abbia letto e ascoltato sul conflitto, non riesco a immaginare altra soluzione.

Se e dove la Storia e la Memoria non sono narrazione costituente e legante della pace sociale, ma spina che genera infezione, bisogna avere il coraggio intellettuale, politico e morale di togliere la spina, perché i morti non acchiappino i vivi portandoli nella Storia con loro.

TAG: Guerra Hamas-Israele
CAT: Geopolitica, Storia

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