Da Nababbo a No Babbo: l’inevitabile downgrade per la Babbo Natale Spa

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19 Dicembre 2014

(Scritto e realizzato con Nicolò Ammendola)   Tempi duri per la Babbo Natale Spa, a giudicare almeno dalla relazione al bilancio presentata dalla società di certificazione Forecaz, di cui in fondo all’articolo trovate uno stralcio nelle pillole concesseci in video da un suo analista di punta. Il quadro e le prospettive, a ridosso della notte delle notti, sono a dir poco fosche e rivelano, inoltre, tra le pieghe delle note integrative, alcune verità molto scomode, che Babbo Natale dovrà prima o poi chiarire di fronte agli organi di stampa (e non solo). Ma cerchiamo di scendere nel dettaglio, voce per voce. Ricavi e fidelizzazione del cliente Il quadro economico internazionale, oltre ad una crisi che non conosce tregua, presenta per la Santa Klaus un dato allarmante. Una ricerca condotta dal Pew Center, infatti, su un campione rappresentativo delle famiglie americane, mostra una riduzione drastica dei credenti in Babbo Natale: solo il 19 per cento delle famiglie, infatti, dichiara di avere ancora fede nel CEO dal vestito bianco e rosso. Partendo dal presupposto che la società americana è quella più significativa, in termini di consumismo e fede nel grande sogno, e considerando l’intera popolazione mondiale in età tra gli 0 e i 14 anni (che oggi ammonta a circa il 25.7%, da dati World Bank), la platea di clienti potenziali della Babbo Natale Spa, su un totale di 1 miliardo e 800 milioni di bambini, si ferma dunque a circa 367 milioni. E si tratta, tra l’altro, di una stima generosa, visto e considerato che sempre più paesi (tra cui la Cina) non considerano il Natale una festa ufficiale. Ora, anche la spesa media per bambino, durante le feste di Natale, ha subito un calo rispetto al 2012 a causa della recessione e si attesta intorno ai 200 euro per bambino. Questo genera un fatturato di 73,4 miliardi di euro all’anno. Il margine operativo lordo dell’industria dei giocattoli, tra i più alti e pari a circa il 40%, offre a Babbo Natale ancora un po’ di respiro per cercare di intervenire su una situazione comunque piuttosto drammatica. Il risultato netto della Santa Klaus si ferma a circa 30 miliardi di euro. Urge in questo senso un intervento sull’engagement dei clienti: forse una piattaforma digital con qualche meccanismo di gamification potrebbe migliorare i risultati, ma serve una profonda riorganizzazione aziendale e l’ingegnerizzazione del sistema presenta alcune criticità (non è chiaro, infatti, se Google concederà i server per l’archiviazione dei dati, anche a fronte della battaglia legale che il colosso di Mountain View sta conducendo in Europa e dagli esiti ancora incerti). Costi Sul fronte dei costi, si apre il vero squarcio nel sacco (e nel bilancio) della Babbo Natale Spa, fino ad oggi considerata esempio di efficienza e successo nel mondo della logistica e degli approvvigionamenti, ma anche del rispetto dell’ambiente e della corporate social responsability. Quello che emerge, infatti, è il quadro di un’industria obsoleta, in cui la struttura labour intensive, una volta vanto dell’intera Lapponia, grava ora sul bilancio in maniera evidente. Con l’espandersi del mercato e la sua dimensione globale, infatti, e la ferma e cocciuta resistenza di Babbo Natale all’automazione nella gestione dei magazzini, la struttura aziendale mostra tutti i suoi limiti. Per assolvere alla domanda di regali su scala planetaria, con un numero medio di bambini per famiglia di circa 2,5, che si traduce in 155 milioni di famiglie e di indirizzi da servire, Babbo Natale fa uso di una squadra di elfi che, ad oggi, ammonta a 1 milione e 76 mila unità. Dimenticatevi il sogno di Santa che, da solo, nella notte copre il periplo del pianeta distribuendo a destra e a manca i regali urlando il suo natalizio Yaawp sopra i tetti del mondo. Con la globalizzazione e la liberalizzazione dei mercati, Santa Klaus, che ha ormai i suoi anni e che, come il vertice di Luxottica, dovrebbe cominciare a pensare alla successione, si concede poche consegne nella sola Finlandia (a Rovaniemi, sede del quartier generale), a uso e consumo dei giornalisti e degli avvistamenti, in tempo solo per farsi un selfie e tornare, poi, alla sala comando, da dove coordina le consegne della notte. Il team di consegne e l’organizzazione dei turni, invece, elfo per elfo, constano del seguente equipaggiamento e turnazione: – n° 2 renne che trainano n°1 slitta iper-tecnologica in lega di titanio, collegata al satellite e geolocalizzata. Capienza massima 1500 kg (circa 150 pacchi da 10 chili) – n° 12 ore di lavoro con consegne cadenzate ogni 5 minuti per un totale di 12 consegne all’ora e 144 consegne per elfo a notte L’impiego di forza lavoro riguarda solo i 3 mesi che precedono il Natale. L’hiring avviene attraverso contratti interinali così definiti: – n°2 mesi di training e formazione al costo di 240 €/giorno ad elfo (120€ di remunerazione + 120€ di costo del training) – n°1 mese di contratto per operaio altamente specializzato al salario giornaliero di € 360 Tale costo è giustificato dall’elevato livello di specializzazione richiesto agli elfi, i quali devono assolvere a: ·        raccolta, smistamento e risposte (in 185 lingue) delle lettere natalizie ·        gestione degli approvvigionamenti e del magazzino ·        verifica degli ordini e preparazione della spedizione ·        consegna con mimetizzazione e tecniche di guerrilla per infiltrazioni domestiche e posizionamento pacchi sotto l’albero Il costo del lavoro, così determinato, grava sulle casse della Santa Klaus per 26 miliardi di euro annui. Nei restanti 9 mesi dell’anno, per giunta, gli elfi ottengono dal governo finlandese un sussidio di disoccupazione di euro 500 mensili, che costa allo stato scandinavo ben 4,8 miliardi di euro. Il vice-presidente della Commissione Europea Jyrki Katainen, tra i falchi dell’austerity continentale, ha già dichiarato pubblicamente che questa misura deve essere sostituita al più presto da strumenti di active welfare state che incentivino la ricollocazione degli elfi, magari nel settore dei servizi. Gli allevamenti di renne, con più di 2 milioni di capi, oltre al quesito sul potenziale impatto ambientale (che esula dagli scopi del presente articolo, ma di cui si dovrà tenere conto all’interno dei prossimi accordi di Parigi 2015), producono costi per circa 100 euro mensili a renna e un totale di 2,5 miliardi di euro all’anno. Si tratta tra l’altro di un settore sussidiato dallo stato finlandese, il che pone una volta di più una domanda sull’iniquità della gestione aziendale della Santa Klaus e sulle esternalità negative prodotte in termini di sostenibilità della spesa pubblica finlandese. L’affitto dei n°20 capannoni da 1 milione di metri quadri necessari alla raccolta e smistamento dei pacchi non grava eccessivamente sul bilancio della Babbo Natale Spa grazie al prezzo molto basso degli affitti di capannoni in Finlandia (2€ a metro quadro) e della totale auto-produzione di energia, per effetto di un bio-compost escrementizio generato dall’intera popolazione di renne e dalla co-generazione elettrica che si deve all’impiego dell’energia cinetica prodotta dagli elfi attraverso opportune cyclette e tapis-roulant distribuiti all’interno dei magazzini stessi. La giornata lavorativa nei medesimi è basata su 3 turni di 8 ore in cui tutta la forza lavoro è impiegata per il mese di dicembre. Qualche ombra (a ben vedere, un buco nero degno di Gargantua) riguarda l’origine e provenienza del denaro che Santa Klaus deve avere necessariamente investito, all’inizio della sua carriera, per la costruzione dei magazzini e l’acquisto dell’equipaggiamento di renne e slitte. Un’inchiesta pubblicata su New York Times dal titolo emblematico recita: Da dove vengono i soldi di Babbo Natale? Sulla struttura costi un altro mezzo miliardo di euro viene poi speso in carta da regalo (€ 2 a pacco). IT e infrastrutture generano un esborso di 100 milioni di euro, nella misura di 50€ / elfo per i devices e 50€ per i sistemi, mentre una voce di costo importante concerne la manutenzione delle slitte iper-tecnologiche, con un totale di 1 miliardo di €. Stando così le cose, l’esercizio 2013 si chiude con una perdita di circa 100 milioni di euro, che schiude le porte a scenari dalle tinte fosche. Outlook La relazione della società Forecaz parla chiaro: l’outlook è negativo e i titoli della Babbo Natale Spa sono a un passo dal downgrading verso il livello junk. Le note integrative disegnano un futuro quanto mai incerto. L’obbligo di abbattere i costi del lavoro si scontra con l’impopolarità della misura, tanto che la CGIL (Confederazione degli Gnomi Lapponi Incazzati) ha proclamato il primo sciopero generale in vista del Natale 2015. L’urgente necessità di denaro liquido si scontra poi con la difficoltà di reperire nuovo debito e di trovare finanziamenti, anche a fronte delle prospettive negative dell’azienda. Si segnala, infine, la pressante concorrenza dell’incumbent Amazon.com, che ha generato un fatturato di circa 75 miliardi di dollari nell’esercizio 2013 (con un +21.8% rispetto al 2012) e un utile netto di 274 milioni di dollari. Intervistato sulla questione, il CEO Jeff Bezos ha risposto sibillino che la Lapponia, per lui, è solo un luogo dove ammirare le aurore boreali. Subito dopo la telefonata, tuttavia, chi scrive registra di avere ricevuto, proprio da Amazon, un curioso suggerimento d’acquisto. Il CEO della Santa Klaus ha preferito, invece, non commentare e, a precisa domanda, si è lasciato andare ad insulti qui non riportabili e concernenti la Direttrice Commerciale della Befana S.p.a., punto di riferimento delle pmi, che ha però replicato da gran signora con gli auguri di buon Natale e di buona Epifania, che tutte le aziende si porta via.  

TAG: amazon, babbo natale, downgrading, Economia, finanza, Natale, outlook
CAT: Grande distribuzione, Innovazione

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