Grandi registi e secoli di storia: gli archivi d’impresa sono pieni di tesori

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1 Giugno 2018

Quanti tesori nascosti negli archivi aziendali: certo, che ci siano i sigilli papali nell’Archivio segreto vaticano, o i decreti di Galeazzo Maria Sforza nell’Archivio di stato di Milano, è facilmente immaginabile. Che invece ci siano due documentari di Ermanno Olmi nell’archivio Salini Impregilo è un tantinello più sorprendente. Eppure così è. Un tempo si usava girare veri e propri documentari per testimoniare le varie fasi di avanzamento dei lavori delle grandi opere, e negli scaffali di quella che oggi è la più importante società italiana di costruzioni nel settore delle grandi infrastrutture, leader globale nel water segment, ci sono oltre 600 di questi filmati, in genere di 40-50 minuti. Due, per l’appunto, sono stati realizzati dal regista scomparso di recente.

Naturalmente, oltre ai filmati, ci sono anche le foto, e mica poche: 1 milione e 200 mila, dal 1906 ai giorni nostri. Una parte di queste – per la precisione 1200 – sono esposte nella mostra Cyclopica,  in corso alla Triennale di Milano fino al 3 giugno. È divisa in tre sale tematiche “gesti” (dove si ascoltano anche i rumori di un grande cantiere), “persone” e “squadre”.

Custode di tutto questo ben di Dio è Giuseppe Contardi, entrato nel 1984 nell’allora Impresa Girola, che dopo una serie di fusioni è confluita nell’odierno gruppo. La sua è una storia particolare perché è un perito chimico con un debole con la fotografia. Quando l’hanno assunto, stava per andare in pensione il vecchio archivista e così ha avuto la fortuna di poter seguire la passione.

L’archivio Salini Impregilo è costituito soprattutto da immagini ed è utilizzato dai tecnici quando c’è necessità di dimostrare come sono stati eseguiti i lavori. «Tutti si ricordano dell’archivio quando ne hanno bisogno, ma sarebbe bene se si ricordassero di depositare sempre il materiale», osserva con una punta di ironia Contardi.

Tutto questo sembra ricalcare da vicino quanto afferma David Bidussa, storico ed ex direttore della biblioteca della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, quando ricorda che solo pochissimi archivi aziendali sono affidati a un archivista e si custodisce soltanto il materiale che i dirigenti ritengono utile conservare. Sia ben chiaro che già questo è un risultato enorme perché troppo spesso le aziende considerano gli archivi un mucchio di cartaccia ingombrante da buttare via il più presto possibile. Chi scrive ricorda la testimonianza del titolare di un’azienda, non grande ma importantissima dal punto di vista storico, che aveva affermato col massimo candore di aver impiegato una settimana per bruciare tutto l’archivio aziendale del quale doveva disfarsi per liberare spazi. L’alternativa alla distruzione sarebbe conferire i documenti agli Archivi di stato, ma ancora una volta sembra la messa in pratica di quanto affermato da Bidussa: «Difficilmente un’azienda pensa di far vedere le proprie carte».

Ecco quindi che, inquadrandola in tale più vasto ambito, ancora più meritoria appare la salvaguardia dell’archivio Salini Impregilo. Anche in questo caso, nel passato, si sono corsi rischi: l’archivio si ingrandiva sempre di più a mano a mano che nel gruppo confluivano nuove imprese e si continua ad ampliare. L’anno scorso sono entrate 10mila nove fotografie, nel 2018 ne sono già state acquisite 7mila. «Un paio di mesi fa è arrivato da Roma un furgone pieno di contenitori di diapositive», sottolinea Contardi. Tra gli autori presenti nell’archivio si contano alcuni grandi della storia della fotografia. Nel 1965 il tedesco Günter R. Reitz vinse il World Press Photo con l’immagine dall’alto dei templi egizi di Abu Simbel mentre vengono spostati per evitare che vengano sommersi dopo la costruzione della diga di Assuan sul Nilo. Spesso i fotografi non si sono limitati a riprendere il cantiere, ma hanno allargato la loro testimonianza ai dintorni, e così negli scatti sono finiti scuole, chiese, locali pubblici. Fra gli altri, anche Armin Linke, un artista della fotografia, e i più giovani Moreno Maggi, Filippo Vinardi e Edoardo Montaina, che ha immortalato la grande opera di questi ultimi anni: l’ampliamento del canale di Panama.

«Questo archivio consente di viaggiare nel tempo, dal 1906 ai giorni nostri, e nello spazio, dal circolo polare artico al Sudafrica e al Sudamerica», sottolinea con orgoglio Contardi. Il problema, come sempre, sono gli spazi: da un trasloco all’altro è cresciuta la quantità di cose da conservare, ma non è sempre accaduto che siano accresciuti di conserva gli spazi dove tenere i materiali. Mettere insieme gli archivi Salini, Girola, Lodigiani, Impresit, Cogefar, Impregilo non è stata impresa da poco. Negli anni Novanta, durante le fasi concitate seguite a Tangentopoli, si è rischiata la dispersione. Inoltre, il materiale fotografico si danneggia irreparabilmente se non è conservato in maniera adeguata. Comunque, il tutto ora non solo è al sicuro, è stato digitalizzato e viene anche valorizzato. L’attuale direzione comunicazione del gruppo ha promosso la pubblicazione di un libro sulle grandi dighe (circa la metà delle immagini conservate riguarda cantieri di dighe) e un altro sulla storia aziendale, oltre a “Cyclopica” (ed. Rcs/Mondadori Electa), volume fotografico di 200 pagine a cura di Stefano Cingolani e Marina Itolli.

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Nella foto in alto, Abu Simbel Rescue di Günter R. Reitz (1968) – Archivio Salini Impregilo

TAG: archivi, archivistica, Cyclopica, fotografia, grandi opere, Storia
CAT: infrastrutture e grandi opere

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