La musica bisestile. Giorno 103. Edoardo Vianello
IO SONO EDOARDO VIANELLO
Era estate, ed io avevo quasi quattro anni. Non ricordo nulla di quei tempi, tranne lampi improvvisi, cose da nulla. Come una canzone che adoravo, alla radio, che aveva un testo troppo difficile. Io avevo appena imparato una parola nuova e complicata: ventilatore. così cantavo ventilatore, ventilatore, su quella melodia, comunque non sapevo nemmeno di chi potesse mai essere. Dopodiché, negli anni, ho avuto agio di imparare il nome di Edoardo Vianello, ma per “Guarda come dondolo” e per le “Pinne Fucile ed Occhiali”. Niente di più facile, per un bambino, di trovarlo simpatico, divertente, e facile da imparare a cinguettare (come sia difficile “Guarda come Dondolo” con i suoi salti di mezzo tono, quello l’ho imparato, sudando e suonando, mille anni dopo).
Ricordo che Corrado, a Gran Varietà, gli avesse chiesto dove trovasse l’ispirazione per quelle canzoncine, che allora vendevano più del pane fresco, e lui: “metto un biglietto da 10mila lire in bella mostra sul piano, poi lo guardo fissamente, mi concentro, mi spremo il cervello, ed ecco cosa ne esce fuori”. Allora una banconota da 10mila lire era una sorta di lenzuolo, un foglio di carta A3, una cosa che piegavi quattro volte prima di metterla in un portafoglio e poi la lasciavi a casa perché avevi paura che te la rubassero.
Solo dopo ho scoperto che suo cugino (Raimondo Vianello) lo aveva portato in TV, perché adorava le sue canzoncine (che sono, per l’appunto, meravigliose) e che diversi musicisti importanti, come Luis Bacalov e Pietro Umiliani si erano cimentati con gli arrangiamenti, perché anche loro erano impazziti per questo ragazzino di san Giovanni, timido e scanzonato, che divenne il capofila della scuola romana di cantautori dei primi anni 60, insieme a Gianni Meccia, Jimmy Fontana, Nico Fidenco e Vincenzo Micocci, che forse è meno conosciuto, ma è colui che sfruttò per tutti questo “sound” comune, e lo contrappose, alla RCA, alla malinconia dei genovesi (Bindi, Tenco, Paolo, Lauzi).
Nel 1963, nel giro di pochi mesi, Vianello aveva tirato fuori una serie impressionante di hits – scritte negli anni, iniziando come menestrello da trattoria, lui e fisarmonica, verso i 15 anni. Dieci anni dopo tutte quelle canzoni erano in bocca a tutti gli italiani – chi cantava “Sapore di Sale” di Paoli, chi preferiva “Abbronzatissima” di Vianello. La RCA fece un album, se ne vendettero pochissime copie, i tempi non erano maturi per i 33 giri. Un giorno, qualche anno fa, ne ho avuta in mano una copia. Volevano quasi mille Euro, l’ho lasciata lì, a malincuore. Ma l’ho ascoltata e, pieno di commozione, ho sentito, a quasi 50 anni di spazio-tempo siderale, “Ventilatore” con il suo vero testo. “Il cicerone”, si chiama. Per voi. Per me resta “Ventilatore”, e questo disco il primo grande album della storia della musica popolare italiana. E quell’Italia rimane un ricordo doloroso di quanto la vita potesse essere bella, piena di speranza e di bellezza.
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