La musica bisestile. Giorno 231. Elvis Costello

:
29 Dicembre 2018

Il brutto anatroccolo del punkrock americano risorge, dopo una lunga crisi, e diventa un musicista pop straordinario, per giunta pieno di fascino

MIGHTY LIKE A ROSE

 

Per una volta, mi sono accorto dell’esordio di una grande stella fin dall’inizio, o quasi. Avevo letto in una rivista del suo gestaccio: invitato (completamente sconosciuto) a “Saturday Night’s Live” al posto dei Sex Pistols, considerato troppo estremi dalla proprietà del canale televisivo, si è messo a dire cattiverie delle case discografiche, su altri artisti, ed alla fine si prese dieci anni di esclusione dalle TV americane – e tutto avendo fuori solo un LP quasi autoprodotto, e di musica bella ed interessante, ma niente a che fare con il punk o con chissà cosa.

“Mighty like a rose”, 1991

Il suo nome d’arte, costruito dal cognome del nonno italiano e dal nome di Presley, voleva spiegare a tutti che lui amasse il rock melodico degli anni 50, il jazz classico (che va indietro fino agli anni 40), ma anche il pop più moderno e le armonie introdotte dalle chitarre ad accordatura “aperta” della musica WestCoast (per cui, fin dal debutto, Costello pareva fosse un musicista americano, invece che inglese. La notorietà acquisita con il gestaccio in TV gli procurò un contratto con la Stiff, che in quel momento produceva la new wave migliore, e che mise a sua disposizione i soldi per costituire una band di professioni (the Attractions) e per registrare un disco a livello professionale, che fu un grande successo, quasi cancellato dal suo caratteraccio, che lo portò a dire, in una sera di ubriachezza, in un bar con Stephen Stills e Bonnie Bramlett, che Ray Charles fosse un noioso negro ignorante, e James Brown un vecchio omosessuale incapace.

Ne nacque uno scandalo che gli precluse per tantissimi anni qualunque possibilità e spazio negli USA, nonostante lui si fosse più volte scusato ed avesse poi partecipato a diverse iniziative contro il razzismo. Avendo letto (o visto su youtube) tantissime sue interviste, mi sono fatto una mia opinione: il piccolo e gracile irlandese è stato per anni travolto da tragici complessi di inferiorità, dalla frustrazione di sentirsi brutto e stupido, dalla rabbia cresciuta per gli anni di povertà e di sconfitte sociali della sua famiglia. Sicché da un lato faceva troppo (come la produzione gratuita per i primi dischi degli Specials, una mediocre band ska che lui trasformò in un possibile concorrente dei Madness), dall’altro questo suo strafare si trasformava puntualmente in una serie intollerabile di autogol. Nel 1984, con lo pseudonimo di “The Imposter”, registra un album ferocissimo di sarcasmo e rabbia contro il governo di Margaret Thatcher, “Pills and soap”, che diventa un oggetto cult ovunque, e che gli rende una credibilità che non aveva mai avuto – ma che porta la sua band, The Attractions, all’implosione, sicché lui ragiona seriamente sulla possibilità di smettere.

Non è accaduto perché nel frattempo aveva sposato Cait O’Riordan, la bassista irlandese/nigeriana dei Pogues, che aveva lasciato quella band famosissima per chiudersi in casa con Elvis Costello a ricostruire la sua vita, e la sua vena d’artista. Il risultato fu questo disco stupendo, che per la prima volta è un disco liberato da tutta la negatività, un disco di un periodo in cui il piccolo MacManus si sente bello, ha un nuovo look, è sereno, non sente più di dover dimostrare al mondo che lui sia un mastino pronto a combattere, ma semplicemente un musicista che scrive canzoni. Dopodiché ha scritto sia prima, che dopo, canzoni bellissime, ma questo disco, potente come una rosa, è per me il più bello, il più forte, il più allegro, a volte persino spensierato – e quello in cui la commistione tra il jazz, il punk ed il beat degli anni 60 si sentono con chiarezza maggiore.

 

TAG:
CAT: Musica

Nessun commento

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

CARICAMENTO...