La musica bisestile. Giorno 261. Claudio Baglioni

:
13 Gennaio 2019

L’uomo che ha fatto piangere la mia generazione di ragazzine con canzoni dai contenuti spesso chauvinisti ed antipatici, ma creando anche balle di musica popolare romana indimenticabili

QUESTO PICCOLO GRANDE AMORE

 

Lo odiavo. Lo odiavo perché tutte le ragazzine si sarebbero fatte tagliare un piede per stare con lui. Lo odiavo perché diceva cose che ritengo chauviniste ed insopportabili, come mettere le mani addosso all’autostoppista inglese o guardare le contadine nude dal buco della serratura. Lo odiavo perché ha una voce con uno spettro infinito con bassi chiari ed alti incredibili. Per giunta, diciamocela tutta, musicalmente non è che faccia sfracelli, tant’è vero che quasi tutte le sue canzoni importanti sono state riscritte da compositori più professionali. Lo odiavo, perché “Questo piccolo grande amore” è la più grande canzone adolescenziale mai scritta, e non dico soltanto in italiano.

“Questo piccolo grande amore”, 1972

Una canzone miracolosa, che ci può ascoltare per decenni e non invecchia mai. Poi, con gli anni, ho perdonato, anche perché Baglioni, nella mia vita, non è determinante, e “Strada facendo” la trovo una canzone stupenda, in cui mi riconosco appieno, e che ha un valore sentimentale, perché è la colonna sonora di una delle mie più grandi amicizie eterne, quella con Jeroen, un giornalista olandese che ha imparato l’italiano leggendo la Gazzetta dello Sport e che attaccò bottone con me ed il mio cognato di allora mentre seguivamo una partita per la stampa svizzera a Gent, in Belgio.

Ho dei ricordi meravigliosi di un capodanno passato a casa di Jeroen, vicino a Tilburg, e tutte e due le famiglie – la sua e la mia – che cantavamo a squarciagola, commossi e felici. Per il resto, non ho mai “usato” Baglioni nella costruzione di un amore, piuttosto l’ho fin dall’inizio ostracizzato come premessa di un qualsivoglia contratto affettivo, anche se sapevo che la giovane signora in questione, segretamente, ascoltava con la lacrimuccia anche le cose più spiacevoli, come i vecchi da portare via e attenti a non sudare.

E poi i continui piagnistei… in questo modo ho evitato di osservare il fenomeno sia musicale che culturale per tantissimi anni, e non mi sono accorto che Baglioni, invece, merita di diritto di essere inserito in una linea di sviluppo della musica popolaresca, di cui è il grandissimo eroe, dopo Lando Fiorini, Leopoldo Fregoli, Romolo Balzani (l’autore di “Barcarolo romano”), ed infine Claudio Villa e Renato Rascel. Baglioni, come Venditti, viene nel capitolo dopo, ed è giusto così. Sulla scia della scuola inaugurata da Garinei e Giovannini, Baglioni scrive degli album che sono storie, con un inizio ed una fine.

Quella di questo disco è così perfetta perché è la storia eterna del primo grande amore di fine adolescenza, quello distrutto dal servizio di leva, dall’inizio della vita lavorativa, dalle pressioni piccolo-borghesi delle due famiglie, e soprattutto dall’inesperienza di due ragazzi che vorrebbero tanto, ma non si fidano, e non sanno come fare. Baglioni. A questo proposito, scrive dei testi geniali di timidezza ed imbarazzo, finalmente scevri del machismo del disco precedente, canzoni che si legano a film deliziosi come “Mignon è partita”, e che descrivono la Roma diciottenne delle ultime generazioni, così come è stato fatto in un altro film capolavoro, “Notte prima degli esami”. Oggi ascolto Baglioni con nostalgia per quegli anni, ma soprattutto con la consapevolezza del fatto che, nel bene e nel male, quello dei suoi primi dischi è uno spaccato irruento, senza compromessi e senza leziosità, della Roma in cui sono cresciuto anch’io.

 

TAG:
CAT: Musica

Nessun commento

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

CARICAMENTO...